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Articolo di psicologia: «Dieta, benessere, disturbi alimentari»

Perché pasticcio con il cibo

Articolo pubblicato il 24 Aprile 2014.
L'articolo "Perché pasticcio con il cibo" tratta di: Benessere Psicologico e Movimento e Disturbi Alimentari.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Valentina Penati.

Parlando con le persone, di questi tempi, si ha quasi la sensazione di non essere alla moda se non si hanno dei problemi col cibo.
Tutti professano di voler iniziare una dieta, tutti si lamentano di non riuscire a rinunciare al cioccolato e molti si rivolgono a dietologi e nutrizionisti.
Ma davvero siamo nel mezzo di una tempesta alimentare in cui non riusciamo più a controllarci quando siamo in cucina o davanti al frigorifero?

I vissuti che accompagnano coloro che hanno un rapporto difficile con il cibo sono spesso di incapacità, di fallimento o di demerito.
Quante volte ci siamo ripromessi di metterci a dieta dopo un periodo di stravizi, dopo esserci imbattuti nella bilancia o dopo che il medico ci ha invitati a prestare attenzione alla nostra alimentazione?
Sicuramente molte. E altrettante volte avremo vissuto con frustrazione gli sgarri o l'incapacità di seguire il regime ipocalorico che ci siamo imposti.
Ma fin qui abbiamo solo parlato di conseguenze... quali sono invece le cause che ci portano a sgarrare, a non riuscire a seguire una dieta equilibrata o, semplicemente, a pasticciare tra un pasto e l'altro?

Per molte persone il cibo è uno strumento particolarmente utile per mettere a tacere emozioni vissute come negative quali l'ansia, la tristezza o la solitudine. Il senso di vuoto, l'insoddisfazione o la preoccupazione vengono così medicati con la fetta di torta, con un trancio di pizza in più o con una cucchiaiata di crema di cioccolato.
Il tutto ingerito negli orari più impensati/impensabili, tipo verso le 2 di notte e in completa solitudine... Sì! Perché uno dei sentimenti che più spesso deriva da queste disregolazioni alimentari è la vergogna.

Vergogna di farci vedere deboli e cedevoli nei confronti del cibo, compagno di momenti difficili. Quindi taciamo.
Taciamo agli altri il nostro malessere, ma taciamo per primi a noi stessi le emozioni e, in ultima analisi, le ragioni che stanno dietro agli sgarri.
Da un lato perché non le riconosciamo, dall'altro perché non abbiamo il coraggio di farci i conti. Se ne prendessimo consapevolezza, forse, ci sentiremmo ancora più in difficoltà, sconfitti e soli.

Quindi il cibo ha la funzione di spostare il problema su di un piano che, almeno sulla carta, è più facilmente controllabile.
Ovvero se il mio problema è il cibo, sarò ben in grado di controllarmi e di non polverizzare una scatola di biscotti in meno di 10 minuti!
Ebbene no! Questo controllo non lo abbiamo. Ma non perché non abbiamo la volontà di controllare i nostri comportamenti alimentari, piuttosto perché il cibo è un falso problema, su cui concentrarsi non ha alcuna utilità.

Il problema di cui occuparsi sta da tutt'altra parte, in una dimensione meno palpabile e definita, che nulla ha a che vedere con l'esattezza del numero delle calorie o con la consistenza di un bel panino al salame.
Tutto sommato, in una cultura come la nostra, è meno disdicevole avere dei problemi col cibo piuttosto che dichiarare che ci sentiamo tristi, soli o spaventati.

Sul cibo presupponiamo di avere qualche forma di controllo e che, se controlleremo la condotta alimentare, magicamente i nostri problemi spariranno e vivremo felici e contenti. Niente di più falso!
In primis perché anche se porteremo a termine la nostra bella dieta o eviteremo il gelato a mezzanotte non saremo di certo più felici, anzi ci scontreremo con l'enorme delusione di non veder corrisposto il sacrificio con un ritorno di benessere emotivo e psicologico. In secondo luogo perché ci stiamo accanendo sul sintomo ma non sul problema.

Ci vuole coraggio per esplorare ciò che ci fa paura o che vorremmo tenere a debita distanza.
Ancor più coraggio è necessario per affrontare quel qualcosa per cui abbiamo timore di venir giudicati (o di giudicarci) come deboli o che pensiamo che gli altri non riconoscano come una difficoltà reale.

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