Articolo pubblicato il 6 Luglio 2009.
L'articolo "Disabilità: che cos'è l'ICF?" tratta di: Disturbi Pervasivi dello Sviluppo.
Gli operatori che lavorano nell'area della disabilità avranno più volte sentito parlare dell'ICF e, forse, anche i genitori ed i familiari di persone diversamente abili potrebbero essere interessati a capire che cos'è questa sigla, a quale tipo di strumento fa riferimento e quale utilità riveste per gli operatori ed i professionisti del settore.
ICF sta per International Classification of Functioning, Disability and Health, ovvero Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute. L'ICF è uno strumento elaborato nel 2002 dall'Organizzazione Mondiale della Sanità con lo scopo di descrivere e misurare il "funzionamento" della persona, ovvero la sua condizione di salute, attraverso l'utilizzo di un linguaggio condiviso ed unificato.
È stato elaborato in sostituzione delle classificazioni precedenti (ICIDH ed ICIDH-2)1 con l'obiettivo di spostare l'attenzione da un'ottica “negativa” centrata sul problema ad un'ottica più "neutra", focalizzata sulle condizioni di salute in generale, "buone" o "cattive" che siano.
Per questo motivo, l'ICF cessa di essere una classificazione delle menomazioni e dell'handicap - eliminando, di fatto, la parola "handicap" dal vocabolario tecnico, a causa della sua connotazione ormai stigmatizzante - per divenire uno strumento di descrizione dell'attività e della partecipazione sociale e, in ultima analisi, di qualsiasi condizione di salute.
L'ICF è pensato principalmente in riferimento a persone adulte, mentre per bambini ed adolescenti fino ai 20 anni è recentemente uscita la versione CY (for Children and Youngs). Il modello ICF può servire per elaborare una diagnosi funzionale, da cui conseguono un profilo dinamico funzionale, un piano individualizzato e, in ultima analisi, un progetto di vita.
La diagnosi funzionale non è uguale alla diagnosi che siamo spesso abituati a vedere in ambito medico (per es. "Sindrome di Down", "Tetraparesi spastica" o simili). Al contrario, può essere diversa per ogni persona, non si richiama a classificazioni standard, ma ha lo scopo di «descrivere il funzionamento reale e attuale di un soggetto nei suoi vari ambiti, compreso il ruolo del suo contesto, e di comprendere a fondo questo funzionamento, mettendo in relazione reciproca fattori biologici con fattori psicologici, sociali e di competenze» (Ianes, 2004).
La diagnosi funzionale viene effettuata da diversi professionisti (ad es. psicologi, educatori, medici, ecc.) attraverso l'osservazione della persona, ma anche attraverso strumenti standardizzati quali i test. Si presenterà nella forma di un testo discorsivo, anziché di poche parole (talvolta una sola) come, invece, avviene per la diagnosi medica. A partire dalla diagnosi funzionale, viene elaborato il Profilo Dinamico Funzionale, che consente di calarla nella realtà, ricavando, da questa, gli obiettivi a breve, medio e lungo termine che si ritengono utili per quella persona, sulla base delle abilità possedute e delle richieste ambientali.
Il Piano Individualizzato è ancora più specifico e contiene al proprio interno le indicazioni circa le modalità concrete per realizzare gli obiettivi individuati nel profilo dinamico funzionale: le persone coinvolte, le risorse organizzative e strutturali da impiegarsi, i tempi, i luoghi, i materiali, le modalità di verifica.
Se, per esempio, un obiettivo è quello di migliorare l'autonomia di spostamento all'interno della città di residenza, una modalità di attuazione prevista può essere quella di insegnare alla persona a prendere l'autobus per raggiungere i luoghi da lei più spesso frequentati (la scuola/il Centro Diurno, la casa di un parente/di un amico, il parco, lo studio del medico, il negozio della parrucchiera, ecc.). Per realizzare l'obiettivo verrà impiegato un educatore che affiancherà inizialmente il ragazzo per una settimana, riducendo gradualmente gli aiuti fino a raggiungere l'obiettivo ultimo nell'arco di un mese e consolidandolo poi nel mese successivo con esercizio quotidiano. La verifica prevista sarà costituita dall'osservazione diretta circa come si comporta la persona in autobus e circa l'effettivo raggiungimento del risultato atteso (arrivo nel luogo stabilito e discesa dall'autobus).
Una volta acquisita l'abilità, il piano individualizzato prevederà una generalizzazione programmata, ovvero l'impiego dell'abilità "usare l'autobus" per raggiungere altri luoghi, oppure applicata ad un "numero di autobus" diverso (ad es, non più solo il 7, ma anche il 2).
Qualora le abilità di base della persona non le consentissero, al momento della valutazione, di riuscire ad usare i mezzi pubblici, l'obiettivo della maggiore autonomia di spostamento in città potrebbe concretizzarsi in modo diverso, per esempio, nel raggiungere a piedi la casa dell'amico dello stesso quartiere, o il negozietto di fiducia poco distante. Anche questo apprendimento potrebbe richiedere l'impiego di un educatore per tot mesi, con progressiva riduzione dell'aiuto e con specifiche modalità di verifica.
Il piano individualizzato, generalmente preparato dagli operatori del servizio che la persona frequenta - sia esso una scuola, un Centro Diurno o un Servizio di Formazione all'Autonomia - viene letto ed approvato (o eventualmente ridiscusso e modificato) in collaborazione con la famiglia della persona con disabilità.
Oltre il piano individualizzato sta il Progetto di Vita, proiettato nella dimensione della quotidianità della vita adulta, con i suoi aspetti di attività strutturate o lavorative vere e proprie, del tempo libero, della eventuale residenzialità al di fuori della famiglia...
Il modello ICF, con la sua complessità, ma anche schematicità, diviene dunque una importante linea guida per la diagnosi funzionale e per le tappe successive, fino al Progetto di Vita. La sua importanza risiede, inoltre, nel fatto di essere uno strumento conosciuto ed utilizzato in tutta Europa.
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