Articolo pubblicato il 2 Maggio 2011.
L'articolo "Balbuzie e Teatro" tratta di: Disturbi dell'Infanzia e Arteterapia.
Articolo scritto dal Dott. Roberto De Pas.
Da oltre vent'anni, uso l'insegnamento teatrale e il lavoro dell'attore come supporto alla cura della balbuzie. L'idea è abbastanza ovvia.
E io ci credo moltissimo. Ho creato un gruppo di persone, gli allievi, ho trovato l'esperta di teatro, l'addetta ai lavori, e la "festa" è iniziata.
Il gruppo è misto: non tutti gli "attori" hanno il problema della balbuzie.
Ma spieghiamo perché ci credo così tanto. E perché l'idea è "ovvia".
Cura della balbuzie.
Nella "Stanza Terapeutica", la cura della balbuzie avviene in sedute individuali. Visione interdisciplinare della cura della balbuzie significa unire insieme psicologia e fonetica. Tale incontro è assolutamente indispensabile, perché la balbuzie ha cause psicologiche e manifestazioni fonetiche.
La fonetica, a sua volta, è intimamente collegata alla respirazione, la quale, poi, è strettamente collegata alla Psicologia della persona, ai suoi stati d'animo, soprattutto alle sue ansie, che si accentuano di fronte al linguaggio, generalmente molto problematizzato e temuto, a causa delle possibili manifestazioni di balbuzie.
Qui, nella Stanza Terapeutica, gli esercizi di fonetica, le registrazioni audio e video del parlato, si mescolano con il lavoro psicologico, teso a riconciliare la Persona con la propria comunicazione in senso lato, cioè con la sua disponibilità a parlare, a esprimere i propri contenuti. Che è lavoro psicoterapico, reso specifico rispetto al linguaggio e alla comunicazione, e rispetto ai possibili conflitti interni alla Persona medesima, al parlante.
Nella Persona che balbetta, vi sono energie e abitudini che portano alla balbuzie. Occorre creare abitudini linguistiche nuove e usare quelle energie per ridare alla Persona la percezione di un nuovo potere sul proprio parlato. Insomma, un cambiamento deve avvenire nel rapporto interno a questa Persona.
E cambiamento è termine tecnico, che in Psicologia si usa per indicare il percorso di una terapia. E, nel caso della balbuzie, la parola cambiamento ha particolare rilevanza obiettiva: nel nuovo modo di pensare il proprio linguaggio, e nel nuovo modo, anche tecnico, di usarlo. Perché il linguaggio ha precise regole fisiologiche, che la balbuzie non rispetta.
Il cambiamento parte da quelle regole.
La loro applicazione non dipende solo dalla capacità consapevole di usarle, ma anche dalla nuova disponibilità, interna alla Persona, a parlare, ad affermare, enunciare i propri contenuti. E anche a cambiare le proprie antiche abitudini. Ma a questo cambiamento si giunge anche grazie a un lavoro corale, caratterizzato da un'idea molto pubblica, molto sociale del linguaggio. E qui nasce l'idea del Teatro.
L'Uomo è Animale Sociale, proprio a partire dalla nascita del linguaggio.
Ci vuole allora il luogo giusto per riaffermare il linguaggio come legame sociale, in tutte le sue valenze e ruoli. In tutta la sua pienezza e potenza. Ci vuole il luogo che sia il trionfo del linguaggio. E fuori dalla Stanza Terapeutica, lo Psicologo sceglie - allora - il Teatro, come luogo della ricerca interiore ed espressiva. Lo Psicologo porta al Teatro - che è Laboratorio e Tempio della comunicazione - i disturbi del linguaggio e della comunicazione: la balbuzie ne è solo la forma più conosciuta ed evidente.
Il linguaggio, qui nel Teatro, si presenta come strumento espressivo: potenziamento della personalità, e non difficoltà o incapacità.
Qui, il linguaggio è non-problema, ma ricerca.
La difficoltà linguistica, denunciata dalla balbuzie, diventa il terreno della ricerca, che porterà a scoprire le svariate potenzialità del linguaggio.
Il Personaggio teatrale, il lavoro del Teatro, sono il pretesto e lo strumento, che sanciscono l'obbligo di fare ricerca sul proprio linguaggio, per chi senta la costrizione data dalla illibertà linguistico-espressiva.
E allora, con questo spirito e questi intenti, ci siamo messi al lavoro.
Caterina Mattea è la nostra maestra di teatro, l'addetta ai lavori.
Al suo attivo ha la Scuola del Piccolo Teatro di Milano, la collaborazione alla regìa con Strelher, ed è, a sua volta Psicologa. Il suo curriculum vitae è molto più vasto, ma qui non serve. Già dall'anno scorso, si è alleata con noi in questo lavoro sul linguaggio. Prima di lei, Mattia Giorgetti, per anni, ha condotto il nostro gruppo di teatro. Gli allievi di quest'anno sono: Gianmario, Saverio, Tommaso, Livia, Consuelo, Irene. Alcuni di loro si conoscevano già dall'anno scorso. Abbiamo programmato le lezioni future.
Il gruppo si è subito fuso, al proprio interno, sia con una conversazione di presentazione che con una prima lettura, tratta da un dialogo a più voci dell'Enrico V di Shakespeare. Ci siamo preoccupati molto più della giusta dizione italiana, che non della balbuzie. Anche questo si chiama "spolarizzazione" del problema. Ci incontreremo una volta la settimana, per due ore. Io, ovviamente, sono sempre presente. Interagisco con Caterina Mattea, occupandomi, prevalentemente, di linguaggio, respirazione, comunicazione.
Il problema dell'ansia, della paura viene affrontato in gruppo e trova, proprio nel gruppo, le soluzioni: lo spirito della ricerca stimola tutti a mettersi in gioco e il gruppo determina, così, la propria funzione terapeutica.
Perché il gruppo è attivo e in continuo movimento.
Il gruppo di teatro non è mai statico, ma sempre fonte di energie.
Anch'io, comunque, faccio teatro insieme agli altri. Naturalmente, abbiamo parlato del film "Il Discorso del Re". È piaciuto a tutti. Non sono piaciuti, invece, i commenti di alcuni giornalisti. Per esempio, Tommaso contesta il termine "menomazione", usato nella recensione della Aspesi, a proposito della balbuzie. Gli abbiamo consigliato di scrivere direttamente alla Aspesi le sue giuste proteste, e, poi, di dare al film l'onore che si merita. Perché ne ha molti di onori, questo film, proprio dal punto di vista della balbuzie, oltre che, ovviamente, cinematografico. Il film è semplicemente meraviglioso.
Importante la chiave di lettura, che viene data, della balbuzie: il logoterapeuta si rivolge al Re, dopo il famoso discorso: "C'è ancora qualche inciampo, ma il linguaggio scorre". Come dire: "Tutto si muove, i risultati ci sono, non fermiamoci, la qualità del linguaggio dipende dal tuo lavoro".
Il lavoro da fare sul linguaggio deve essere costante.
Io uso spesso il termine "militante", per indicare quell'instancabile passione che il parlante deve avere per strappare il proprio linguaggio alla "ragnatela" della balbuzie. Ragnatela, perché invadente e fastidiosa, opprimente e imprigionante, ma nello stesso tempo eliminabile con un semplice soffio (ed è proprio il caso di soffiare, di espirare nella fonazione). Certo, per lo più ci vuole qualcosa di più che un semplice soffio, per uscire dalla metafora. Occorre la costanza e l'attiva militanza nel lavoro di ricostruzione del proprio linguaggio. Perché è vera ricostruzione di un materiale, di per sé sano, ma che necessita di una disciplina e di un "coraggio", che contrastino l'una le antiche abitudini fonetiche sbagliate, e l'altro la tendenza alla fuga dall'uso della parola, la tendenza a un suo impoverimento, soprattutto quantitativo.
Militanza, costanza, disciplina e coraggio diventano parole - e caratteristiche dell'individuo - semplici da trovare, quando sono sorrette dalla reale motivazione a uscire dalla balbuzie. Se il Re non avesse dovuto fare il discorso alla radio, volentieri si sarebbe sottratto all'impegno, che invece si assume, verso il proprio linguaggio. Ma ognuno di noi, e forse ogni giorno, ha voglia o deve fare "un discorso alla radio", "un discorso alla nazione". Oltre la Manica, Hitler parlava e straparlava. Di guerre e di odio. Il Re sente, allora, la necessità di trovare in sé la forza della parola. Estende al mondo intero, offre alla propria Nazione, quella forza d'amore che, nel privato, gli consentiva di parlare bene, o con minime incertezze, quando le figlie gli chiedevano di raccontar loro una storia. L'amore per le figlie, la necessità storica di svolgere il proprio ruolo di Capo dello Stato, lo mettono in una costruttiva posizione dialettica verso il proprio linguaggio.
Il logoterapeuta gli fornisce i giusti strumenti - respiratori e fonetici - e la realtà esterna, privata e pubblica, gli impone la necessità obiettiva di agire. Qui trova la capacità di attuare le potenzialità del proprio linguaggio. Perché la balbuzie, mai distrugge la potenziale capacità di parlare bene. Come ogni balbuziente sa dalla propria esperienza, perché mille sono le situazioni quotidiane nelle quali il suo linguaggio è fluido ed efficiente, per niente titubante. E l'amore, nel film del Re, la fa da padrona: la componente amore è lo slancio e la motivazione ad uscire dalle proprie difficoltà, è il "luogo" di accoglimento del problema (la moglie del Re, splendido esempio d'amore), e quindi, luogo di dissolvimento della balbuzie (le fiabe narrate alle figlie).
La storia del Re è vera. Come vera era la balbuzie di Churchill, anch'egli presente nel film. Come vera era la faccia spaventata del Re, in preda al panico di fronte al proprio linguaggio. L'amore è, in verità, quell'amore e rispetto verso i propri doveri di comunicatori, verso i propri diritti di parlanti. Quell'amore si traduce in motivazione, forza, desiderio di trasformare l'energia della balbuzie in energia dell'eloquio e della libertà dell'eloquio. Io, come terapeuta del linguaggio, come Psicologo della comunicazione, ho avuto il privilegio di vedere affermati, in questo film, i valori del mio lavoro quotidiano e anche, - perché no? - della mia persona, che con la balbuzie ha dovuto personalmente fare i conti. Non un'identificazione, quindi, ma proprio un esplicito riconoscimento al quotidiano lavoro di rieducazione della balbuzie. Per questo, abbiamo deciso di chiamare il nostro corso di teatro, il dis-Corso del Re. Quel "dis" è prefisso che indica qualcosa che non va.
Abbiamo giocato con le parole - ci piace giocare con le parole, è il nostro lavoro - per dire che con il corso il "dis" scompare e diventa un vero "discorso". Dove ognuno diventa il Re del discorso.