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Dott.ssa Cristina Buccheri
Morbo di Alzheimer, Roma (RM)

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La malattia di Alzheimer: che fare?

Articolo pubblicato il 24 Novembre 2008.
L'articolo "La malattia di Alzheimer: che fare?" tratta di: Burnout, Stress e La Famiglia.

Quando una famiglia si imbatte in un evento critico, come la malattia grave di un congiunto, si trova calata in una dimensione nuova, estranea, difficile: deve farsi carico di decisioni importanti ed urgenti, deve fare i conti con cambiamenti organizzativi (di ruolo), relazionali ed emotivi.

Una madre/moglie che si ammala a lungo andare non sarà più capace di cucinare, curare la casa. Qualcuno, ad esempio un figlio o il marito dovrà farlo al suo posto, aggiungendo altro lavoro e dispendio di energia a quello che già fa. I familiari dovranno imparare a rapportarsi in maniera diversa, poiché la malattia ha reso il proprio congiunto diverso, con una crescente difficoltà a comprenderli e finanche a riconoscerli.

Il graduale deterioramento cognitivo, funzionale e comportamentale del malato fa si che il lavoro di cura non cessi mai e diventi sempre più intenso e stressante, determinando l’ insorgenza dello stress e di un forte disagio.
Mentre nelle fasi iniziali della demenza il familiare svolge le attività più complesse della vita quotidiana come fare la spesa, cucinare, fare le pulizie, gestire le finanze, con il progredire della malattia, si occuperà anche di quelle più semplici come aiutare a fare il bagno, a vestirsi, a lavarsi oltre che esercitare una attenta e continua sorveglianza.

Le tensioni implicite in un rapporto che si fa sempre più unidirezionale, possono dunque mettere a dura prova la relazione con il familiare malato, per quanto fondato sull’affetto. In misura maggiore può crearsi una relazione logorante e fortemente tesa la dove la malattia si va ad inserire in un rapporto già conflittuale.

Man mano che la malattia si aggrava e la consapevolezza di essa si fa strada, chi si prende cura del malato può alternare momenti positivi nei quali si dedica in maniera esclusiva al proprio congiunto, tanto da dimenticare se stesso, i suoi spazi e i suoi affetti, ad altri decisamente negativi, di grande sconforto e senso di impotenza: il congiunto può avere la sensazione di aver perso il proprio familiare tanto che non riconoscendolo più, ritorna con la memoria a come era prima che si ammalasse.

Nell'ultimo stadio, quando avviene la morte fisica, possono crearsi per i familiari due sentimenti contrapposti: una sensazione di sollievo, perché finisce la tensione e la fatica, ma anche il sentimento di perdita a cui doversi gradualmente adattare. Questo passaggio è naturalmente molto difficile, soprattutto se i familiari hanno creato un forte rapporto simbiotico con il loro congiunto, se si sentono fortemente responsabili o se ritengono di non aver fatto tutto il possibile.

È abbastanza evidente che la famiglia di un malato di Alzheimer, da un lato è un soggetto attivo che si adopera per tutelare il proprio congiunto, assumendosene il peso della assistenza e del sostegno psicologico, dall’altro diviene per questo, anche oggetto di intervento rispetto a possibili disturbi come lo stress, la depressione e l'ansia. Essi sono dei chiari segnali di un peso non sempre sostenibile ed in parte legato al conflitto tra bisogni del malato e le esigenze della famiglia e più specificatamente del care-giver.
Questi infatti, è spesso portatore di un bisogno inespresso, taciuto, negato o vissuto in maniera ambivalente per le implicazioni del dovere, di riconoscimento del lavoro svolto nella dimensione familiare.

Nei mariti o nelle mogli, alla fatica del lavoro di cura si aggiunge spesso il peso della delusione per aver immaginato una vita diversa e quello del senso colpa derivante dal fatto di non sentirsi pienamente appagati e soddisfatti nell'occuparsi del proprio familiare. Si può allora osservare un arresto della progettualità e un negarsi il diritto di vivere un esistenza in cui siano compresi interessi molteplici.

Nei figli caregivers, l'inevitabile inversione di ruolo che la malattia impone, può complicare se non arrestare il naturale processo di separazione e svincolo o comunque essere accompagnato da vissuti di dolore, perdita e abbandono. Il difficile passaggio verso un'accettazione consapevole della malattia richiede un intervento specifico che possa alleviare anche i livelli di stress dei care-givers.

Si intravedono due modalità di intervento specifiche: il Counseling psicologico individuale e i gruppi di auto mutuo aiuto.
Attraverso il Counseling psicologico individuale il familiare che si occupa del malato può trovare uno spazio protetto ove fare chiarezza sui i tanti e contraddittori sentimenti che caratterizzano la relazione con il familiare. Essa, come abbiamo visto, può divenire molto pesante e non solamente da un punto di vista fisico, ma anche psicologico e quindi il caregiver può avere bisogno di trovare riconoscimento e valorizzazione per il lavoro che svolge, nonché un rinforzo utile e motivante a continuare a sorreggere tale impegno. È inoltre efficace il confronto e lo scambio di emozioni all'interno dei gruppi di sostegno o di autoaiuto dove la condivisione delle esperienze comuni diventa un potenziale di accettazione e di superamento.

Bibliografia
  • Nancy L. Mance Peter V. Rabins, "Demenza e malattia di Alzheimer. Come gestire lo stress dell'assistenza", Edizioni Erickson, 2002
  • Christine Heron, "Aiutare i carer: il lavoro sociale con i familiari impegnati nell'assistenza", Edizioni Erickson, 2002

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