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Articolo di psicologia: «Lutto e relazioni familiari»

Il ruolo delle relazioni famigliari nel lavoro del lutto

Articolo pubblicato il 15 Aprile 2016.
L'articolo "Il ruolo delle relazioni famigliari nel lavoro del lutto" tratta di: Lutto.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Serena Fiorini.

La morte da sempre è uno degli aspetti della vita più dolorosi e difficili da affrontare. Nonostante la sua inevitabile compresenza nella nostra vita, la consapevolezza che di essa abbiamo e le innumerevoli riflessioni da parte di artisti e filosofi, la morte rimane un tema astratto, un qualcosa di "altro", lontano da noi.

Quando veniamo a conoscenza di una perdita, ci informiamo sulle cause del decesso, ci rammarichiamo, poi continuiamo le nostre esistenze, senza interrogarci, senza pensarci. Ma quando muore una persona a noi cara, ecco che ci si ritrova spesso in balìa di un'emotività incontrollata. Ciò che abbiamo sempre saputo, ma mai pensato, si presenta davanti a noi, immodificabile, portando un dolore lacerante, che sembra impossibile da superare. Tutto quello che la persona scomparsa rappresentava per noi sembra essere svanito e reagiamo increduli, rifiutando di accettare tale perdita. Ci aggrappiamo a luoghi, oggetti, persone che ci ricordano il defunto, travagliati dalla sofferenza e da una sorda rabbia e risentimento verso chi viene ritenuto responsabile dell'accaduto, spesso verso la stessa persona morta, accusata di averci abbandonato. Oppure possiamo chiuderci in una fredda apatia, allontanando ogni possibile relazione foriera di emozioni legate al defunto. Si va avanti, sperando che il tempo cancelli ogni traccia.

Ogni persona reagisce a suo modo a un lutto, utilizzando modalità caratteristiche della propria personalità e apprese entro il proprio contesto famigliare e culturale. A volte, però, il superamento di tale evento e l'accettazione del lutto sembrano non avvenire mai. Si sente di non riuscire ad andare avanti, bloccati nel ricordo e nel dolore. Ci si guarda intorno e si vede che i nostri cari e i nostri amici, sono riusciti ad accettare, sono riusciti ad elaborare la scomparsa e ci si chiede come hanno fatto. Ci si sente soli. Si può arrivare a pensare che l'unica persona che ci capiva, l'unica persona che ci era vicina, è morta. Non si riesce più a trovare un senso nello stare con gli altri, perché non capiscono il nostro dolore. A volte si ha l'impressione che gli altri abbiano già dimenticato il defunto, che non se ne debba più parlare. Con l'abitudine che si affina negli anni, spesso il ricordo della morte viene evitato e si scivola attorno ad esso con una naturalezza di cui non ci si accorge neanche. Ma non per tutti: per alcuni membri della famiglia questa modalità può trasformarsi in un fardello pesante da portare, un malessere che trova la sua causa proprio nel non poter essere nominato, nel non poter essere condiviso e narrato entro la propria famiglia. Per alcuni membri della famiglia c'è ancora il bisogno di parlare della scomparsa.

Trattata principalmente da autori psicodinamici, spesso la morte è stata considerata come un fatto individuale, un lavoro, il lavoro del lutto appunto, che l'individuo da solo risolve e affronta nel suo percorso.
In realtà la componente relazionale del lutto è un aspetto che deve essere necessariamente affrontato. Proviamo a riflettere su cosa comporta una perdita a livello famigliare: tutti i membri della famiglia sentono di poter esprimere il proprio dolore quanto vorrebbero?

Vi son famiglie per le quali la morte è un tabù e nulla deve essere detto o ricordato rispetto alla scomparsa. Vi sono famiglie in cui, invece, tutto deve restare come prima e il posto vuoto deve essere subito riempito per non indebolire il sistema. Solitamente queste modalità sono tramandate di generazione in generazione e costituiscono il modello di elaborazione del lutto per tutti i componenti della famiglia. Ognuno di noi ha il proprio. Ma quanto questo modello, questo paradigma permette ai singoli membri di vivere il proprio dolore nel modo più utile?

Le famiglie sono luoghi di identità, ma anche di differenze: di fronte a un evento traumatico come la morte, che attiva le più profonde angosce dell'individuo, quanto si è pronti ad accettare che un membro della propria famiglia esprima il dolore in modi che non si riconoscono, che si percepiscono come diversi e forse anche riprovevoli?
E ancora: cosa succede all'identità di quella famiglia dopo la morte di uno dei suoi membri? Chi potrà "sostituire" la persona scomparsa? Chi potrà svolgere le funzioni, le cure che il defunto svolgeva? Pensiamo a una madre/matriarca di una grande famiglia: con la sua scomparsa, tra i figli arriverà un momento in cui bisognerà decidere chi eredita il ruolo che tale donna svolgeva per il clan famigliare. Ci si sentirà sempre appartenenti a quella famiglia, senza di lei? Chi prenderà le decisioni sulla res familiaris al posto suo?

I momenti di comunione dopo la morte di una persona, quali i funerali, veglie ecc, sono indispensabili non solo in quanto rituali, ma anche come momento di riunione famigliare e ri-costruzione di una rete, famigliare e comunitaria. Sono i momenti in cui la famiglia si riunisce e si ritrova senza uno dei suoi membri. E deve ripensare a se stessa. Questo processo di ridefinizione non è sempre naturale e immediato. Pensiamo ai piccoli rituali, che nel tempo vanno a scandire il ritmo della vita famigliare, ad esempio all'organizzazione dei pranzi famigliari, che nella nostra cultura sono momenti importanti e strutturati della routine domestica: come verranno riorganizzati? Ci saranno ancora?
Per alcune famiglie questo passaggio può innescare un processo destrutturante, che stravolge l'equilibrio famigliare: chi vorrebbe tenere viva quella funzione che svolgeva la persona scomparsa, in quanto identificativa con l'appartenenza stessa della famiglia, e chi invece vorrebbe allontanare da sé tutto quello che ricorda il passato. Tutto questo può causare liti, dissapori o dolori, incomprensioni, aumentando la sofferenza e la solitudine che già si vivono per la perdita.

Quali che siano le strategie che la famiglia adotta di fronte al lutto, esse influiscono su ciascuno dei singoli membri. Non tutti sperimentano simultaneamente il lutto e non tutti trovano sollievo nella strategia adottata. In questi casi si parla di vissuto traumatico del lutto. A volte può essere superato senza un aiuto specifico, altre volte si sente il bisogno di rivolgersi a un professionista. In ogni caso, è importante lavorare non solo sull'emotività individuale, ma anche su cosa la scomparsa ha provocato nel sistema famigliare. Le reazioni e le dinamiche conseguenti a questo evento traumatico possono, infatti, essere causa di dolore e sentimenti di alienazione e isolamento. Solo guardando al contesto relazionale in cui vive l'individuo è possibile comprendere cosa la persona ha perso con la morte del proprio caro.

La morte è un evento naturale, ma lacerante: riuscire a dare un significato e a inserirla nella narrazione della propria famiglia, permette di accettarla e riconoscerne la sua naturalità. Dal sentimento di perdita potrà, quindi, riemergere una nuova appartenenza al nuovo sistema familiare che rinasce dal precedente, accettando così l'inizio di un'altra fase del ciclo di vita della famiglia.

Bibliografia
  • Bowlby J., Attaccamento e perdita, Boringhieri, Torino, 1983
  • Bowen M., Dalla famiglia all'individuo, Astrolabio, Roma, 1979
  • Pereira Tercero R., Le deuil: de l'optique individuelle à l'approche familiale in deuil et famille, Cahiers Critiques de Therapie Familiale, Bruxelles DeBoeck and Larcier, 1998

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