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Dott. Franco Ferri
Depressione e Crescita Personale: la storia di Flavio, Mestre (VE)

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Flavio e la ricerca della felicità

Articolo pubblicato il 26 Giugno 2017.
L'articolo "Flavio e la ricerca della felicità" tratta di: Crescita personale e Depressione.

La storia di Flavio
"Se la felicità esiste solo nei sogni, nella realtà cosa possiamo fare?"

"Ho fatto un sogno. Ero in macchina e c'era nebbia dappertutto, in macchina e fuori. Ero tallonato da qualcuno e dovevo fare una curva... Mi sono svegliato in preda all'angoscia".
Così si descrive Flavio in sogno e così si sente Flavio nella sua vita quotidiana: dominato dall'angoscia e dall'incertezza sul senso della sua vita, quella passata e quella futura, con una vaga consapevolezza sulla necessità di dare una sterzata al suo atteggiamento disfattista e depressivo, con poca chiarezza sui suoi vissuti interiori e altrettanta opacità sui suoi sentimenti verso le persone del suo mondo familiare. Si sente dentro il guscio della sua macchina (l'identità professionale?) protetto/prigioniero, ma anche esposto all'interrogativo non certo privo di ansie da disorientamento: "Che ci faccio io qui?".

Eppure, a uno sguardo esterno magari un po' superficiale, si potrebbe vedere in Flavio un uomo di successo, un gran lavoratore, dai modi garbati e benvoluto dai suoi collaboratori: si è fatto da sé partendo dal nulla per arrivare a una sua aziendina ben avviata, solo casa e lavoro senza grilli per la testa, con una moglie dirigente scolastica e una figlia inserita in una precoce carriera universitaria.

Su tutti e tre i versanti si addensano, però, le nubi.
Il lavoro è diventato sempre più stressante e la fantasia di poter condividere col fratello le responsabilità dell'azienda o quella di tirare avanti per poterne affidare alla figlia la gestione una volta finiti gli studi, si sono rivelate illusorie: il fratello si è ammalato di una malattia degenerativa e la figlia non è proprio interessata ai suoi progetti.
La frigidità della moglie è ciò che lo ha spinto a consultare uno psicoterapeuta: infatti l'ha portata da me perché io la convincessi a farsi analizzare. In quella circostanza è emersa la distanza fra i due, una distanza "realistica" di tempi lavorativi, ma anche di interessi e soprattutto affettiva.
Fin dal primo colloquio è stato chiaro che lei lo aveva accompagnato per farlo contento ma non aveva nessuna intenzione di mettersi in discussione.

Così, facendo buon viso a cattivo gioco, Flavio mi ha proposto di incontrarlo qualche volta, in modo da valutare insieme alcune questioni.
Questioni esistenziali presenti da sempre nella sua vita, e l'attuale raffreddamento affettivo della moglie nei suoi confronti li hanno fatti emergere come fattori non più eludibili: la prende alla larga chiedendosi e chiedendomi se può valere la pena di discuterne un po'. Accetto di incontrarlo per qualche seduta, in modo da conoscerci meglio.

Tra le questioni esistenziali c'è anche la figlia Loredana, l'unica persona al mondo per la quale sarebbe disposto a togliersi un rene senza batter ciglio: la sente capace di ferirlo in maniera insensata e lasciarlo senza fiato per l'assurdità delle sue scenate e le motivazioni inverosimili usate per giustificarle. Scenate ancor più inconsulte avvengono tra la figlia e la madre, alle quali lui non può che assistere basito aspettando l'evolversi delle varie situazioni, non sapendo mai se schierarsi da una parte o dall'altra, se consolare l'una o comprendere/proteggere l'altra.
La questione della evidente depressione strisciante rimane sullo sfondo.

Di sé dice di sentirsi veramente felice quando "riesco a procurare il coniglio per tutti"; sempre più spesso, però, si sente ridicolo, costretto "a ballare come una gallina spennacchiata senza testa". L'evocazione di questa immagine lo fa sorridere amaramente e la riferisce alla incomunicabilità tra lui e la figlia, tra lui e la moglie e altri di famiglia. Li ritiene capaci di farlo sentire ridotto a "pura funzione bancomat", a cui reagisce con fantasie di fuga/ ritiro "in una baita sul mare": sole, solitudine, silenzio, serenità sono i suoi desiderata.

L'origine della sua depressione appare, però, ben presto collocata nelle reminiscenze di bambino, nell'antico rapporto con una madre anaffettiva, ricordi nei quali la genitrice lo sottoponeva a incomprensibili, ripetute e prolungate torture sadiche a sfondo sanitario e lo costringeva a rinunciare ai suoi giochi per sacrificarsi all'accudimento del fratello "che è più piccolo e non può stare da solo".
Ora la madre, anziana, affetta da una pinguedine notevole e quindi con conseguente scarsissima autonomia, interpreta ai suoi occhi il ruolo di una entità "altra", aliena, un'ape regina ("poco ape e tanta regina", chiosa), sprofondata nella sua poltrona o nel suo letto, che esige il regolare ossequio del figlio e pretende di essere compresa al minimo sguardo, al più impercettibile cenno, al quale deve seguire l'esaudimento dell'ordine implicito.

L'infanzia e l'adolescenza è stata anche caratterizzata dalla presenza/assenza di un padre, occupato su più fronti a far quadrare il bilancio familiare (era lui che in famiglia "procurava il coniglio"?). Solo il suo pensionamento aveva reso possibile un avvicinamento col figlio, dapprima esitante e successivamente avviato a un reciproco riconoscimento sempre più significativo, culminato, però, col decesso del padre nelle braccia di Flavio per un attacco cardiaco devastante. La scoperta di un padre meno evanescente di quell'ombra sullo sfondo com'era sempre stato aveva aperto a Flavio insospettati orizzonti di un affetto sottostante, non riconosciuto ma profondo, e il trauma della sua morte lo aveva scosso nelle fondamenta: "Bisogna stare attenti alla felicità, perché poi la paghi!".

Per lungo tempo Flavio ha cercato nella relazione con me di superare quel misurato autocontrollo che gli aveva sempre impedito di sentirsi libero di far coincidere ciò che sentiva con ciò che si permetteva di esprimere: disvelare i suoi vissuti e i suoi sentimenti lo turbava, il suo cruccio nelle relazioni interpersonali era l'immediatezza e l'autenticità sentite come pericolose. Inseguiva il sogno di una felicità sgombra da nubi ma idealizzata al punto tale che anche i miglioramenti ottenuti in famiglia e sul lavoro gli lasciavano addosso una insoddisfazione evidente come una seconda pelle.

Sente ora di aver fatto progressi rispetto a prima, a quando era venuto da me. Quello che però gli risulta frustrante è il non poter dire: "Sono finalmente felice!".
Ritorna continuamente sul vissuto di estraneità e solitudine provato entrando in casa sua, vedendo la figlia che guarda la tv in salotto e la moglie che corregge i temi dei suoi allievi: si chiede se l'unica cosa sensata da fare sia andare in camera sua per i fatti suoi. Lì si ritrova a interrogarsi sulla sua sofferenza, attribuita alla sua posizione oblativa silenziosa ("procurare il coniglio") senza chiedere nulla in cambio, nessun riconoscimento: "con tutto quello che ho fatto per farmi amare!".

Qui e là compare l'ossessione della conta degli anni che gli rimangono da vivere e la sgradevole sensazione di sentirsi claustrofobicamente chiuso in una inibizione soffocante. Un giorno mi racconta di aver accompagnato la moglie in città per ritirare la macchina dal meccanico: al ritorno erano ognuno con la propria macchina e lui era dietro: avrebbe potuto svoltare quando voleva e non rincontrarla più(il sogno?). Non l'ha fatto: "Non volevo fare lo scassapalle".
Una volta a casa, però, è stato coinvolto in un altro di quegli inaspettati attacchi furibondi di Loredana a sua madre e a lui. Loredana ha accusato la madre di metterla contro il padre, e accusato lui di essere un padre inadeguato perché non l'ha difesa da chissà quale pericolo. In preda allo sconforto Flavio si è messo a singhiozzare davanti a moglie e figlia (ci tiene a precisare "senza lacrime, però!"), invaso da pensieri del tipo: "Se ha ragione lei, ho sbagliato tutto e allora andate tutti a quel paese! Me ne vado" (la baita sul mare?). Con gesti furtivi qui in seduta, però, si asciuga una lacrima.
Dopo qualche minuto rompe il silenzio e si scusa con me cercando di fare dello spirito: dice di usarmi come cavia per lasciarsi andare a qualche libertà emotiva.
Forse per vedere che effetto fa?

Rabbia e dolore si sono mescolati in una manifestazione palese delle sue più intime fragilità.

"Ma perché non posso essere felice?"
"Non so se la posso accompagnare fino in fondo alla ricerca di una risposta per questa domanda. Non possiamo escludere a priori la possibile scoperta che la felicità così come ce la immaginiamo noi non esiste se non nei nostri sogni. Del resto, anche la sua domanda ci parla del suo dubbio".
"Allora, se non esiste la felicità, si può almeno guarire dall'ansia e dall'angoscia?"
"Si può sicuramente cercare sollievo, come lei ben sa. Mi ha appena dimostrato che le è stato possibile ascoltare il marasma dei suoi sentimenti senza perdere la fiducia di recuperare la calma e le sue facoltà"
"Forse ha ragione: 'A da passà a nuttata', come diceva Eduardo". Poi incalza: "Si può guarire definitivamente dall'angoscia, dottore?"
"Quando si sta male, si vorrebbe vivere in un mondo dove il dolore non esiste. Quando non riusciamo a trovare un perché alla nostra ansia e alla nostra angoscia, vorremmo trovare dagli altri o dentro di noi una risposta rassicurante: faremmo volentieri a meno di dover fare i conti con l'una e l'altra. Possiamo immaginare un mondo senza dolore, senza ansie e senza angoscia, ma sarebbe un mondo allucinante, surreale, uniforme, senza alcuna distinzione e senza direzione. Quel che è certo è che il dolore e l'angoscia fanno parte del bagaglio delle esperienze umane, ed entrambe, su piani diversi sono indispensabili per la vita. Dolore, ansia e angoscia ci parlano del contatto col nostro corpo, con la realtà, quella nostra e quella di chi incontriamo nella nostra vita. Ci danno, se opportunamente elaborate, preziose indicazioni sulla nostra collocazione nel mondo. Sono segnali di vita che conviene imparare a leggere per la nostra crescita personale. Sarebbe un grosso guaio se fossimo privati della capacità di 'sentire' il dolore, l'ansia e l'angoscia, perché questi segnali danno spessore alle nostre esperienze, ci costringono a cercare un senso alla vita, in fondo alla quale c'è la fine di ogni senso: l'ineludibile morte".
"Ho capito, dottore: devo rimboccarmi le maniche e imparare a non aver paura di esprimere i miei sentimenti e le mie emozioni, positivi e negativi, anche se ha volte mi fanno stare male. Possiamo farcela".

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