Articolo pubblicato il 15 Luglio 2010.
L'articolo "Le domande nella depressione" tratta di: Disturbi dell'Umore e Depressione.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Sonia Petroni.
Il presente articolo vuole essere un immaginario viaggio all'interno della depressione, partendo dai "contorni" di essa, cioè i criteri diagnostici che indicano i sintomi riscontrabili nelle manifestazioni depressive, per proseguire poi, sempre più addentro, nei significati e nel senso che la depressione può avere nella storia di vita delle persone. Su questa strada, i tratti comunemente riscontrabili svaniscono, e ci si immerge nell'unicità.
Si passa dal "Come si presenta la depressione?" al "Che senso ha la depressione per me, nella mia storia?", "Che messaggio mi porta?".
Nell'unicità ed irripetibilità di ognuno, la depressione può acquisire un significato. Qualcosa nel mondo interno della persona si modifica, portando a sentire o a non sentire più come prima pensieri, sensazioni e percezioni.
Nella letteratura psicologica, si descrive frequentemente un'alterazione della percezione del tempo e dello spazio. Si è come intrappolati in un passato ed un presente "fissi", dove svanisce la dimensione del futuro e con essa, la possibilità di immaginarsi "in progredire". Lo spazio si riduce al luogo che si occupa, e si perde la volontà di "muoversi" altrove. Pierre Fédida, uno psicoanalista, ci offre la forte immagine di una vita che diviene come "gelata".
Il moto vitale rallenta, si arresta, ed è come se non si avessero più le parole, il linguaggio, per raccontarsi e raccontare ciò che sta avvenendo.
È proprio in questo mondo interno unico e poco accomunabile che vorremo andare, con l'obiettivo di avvicinarci a ciò che la depressione può voler comunicare, senza fermarci all'iniziale incontro con essa (la diagnosi).
Ciò per restituire importanza all'unicità, che si corre il rischio di perdere e quindi di perdersi, se si va alla ricerca di categorie, parametri o criteri diagnostici nei quali ritrovarsi, incasellarsi ed identificarsi.
Si può dire "sono depresso", dimenticando il proprio nome, la propria storia personale, i nessi ed i significati, più che "Io sono... (il proprio nome)".
È in quel vuoto dei puntini di sospensione che cercheremo di stare, per tentare di dare rilievo all'identità che, nonostante la depressione, con-vive con essa ed ha un nome e una storia di vita che le appartengono come fosse un campo di terra "gelato". Eppure il campo è fatto di terra, ha dei confini, è stato arato, ha prodotto raccolti, occupa una spazio nel mondo, ha forse dei semi dentro di sé. Esiste!
Il nostro primo tratto di viaggio parte dai criteri diagnostici che delineano la depressione, e prenderemo come riferimento il manuale diagnostico e statistico per i disturbi mentali (DSM-IV), usato dai professionisti come guida nel formulare diagnosi.
La depressione rientra nei disturbi dell'umore.
Il DSM-IV distingue molteplici sezioni dei disturbi dell'umore (Episodi di alterazione dell'umore, Disturbi Depressivi, Disturbi Bipolari, altri disturbi dell'umore).
Noi ci soffermeremo nella sezione dedicata ai Disturbi Depressivi.
I Disturbi Depressivi sono: il Disturbo Depressivo Maggiore, il Disturbo Distimico, il Disturbo Depressivo Non Altrimenti Specificato.
Il Disturbo Depressivo Maggiore
Il Disturbo Depressivo Maggiore è diagnosticabile come tale, se la persona ha vissuto uno o più Episodi Depressivi.
Un Episodio Depressivo si caratterizza attraverso molteplici sintomi, i quali (cinque o più) devono essere presenti, contemporaneamente, per un periodo di due settimane, per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno.
I sintomi sono: umore depresso; marcata diminuzione di interesse o piacere in tutte, o quasi tutte, le attività; significativa perdita di peso senza essere a dieta, o aumento di peso o diminuzione o aumento dell'appetito; insonnia o ipersonnia; agitazione o rallentamento psicomotorio; faticabilità o mancanza di energia; sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati (che possono essere deliranti e non semplicemente autoaccusa o sentimenti di colpa per essere ammalato); ridotta capacità di pensare o di concentrarsi o indecisione; pensieri di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidarla senza un piano specifico, o un tentativo di suicidio, o l'ideazione di un piano specifico per commettere suicidio.
Tali sintomi devono causare un disagio significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti; non devono essere dovuti ad effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., un abuso di droga, un medicamento) o di una condizione medica generale.
Infine, non devono essere giustificati da un'esperienza di Lutto.
Il Disturbo Distimico
Il Disturbo Distimico si caratterizza essenzialmente per un umore cronicamente depresso, per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, per almeno 2 anni, e dalla presenza di due o più sintomi tra: scarso appetito o iperfagia; insonnia o ipersonnia; scarsa energia o astenia; bassa autostima; difficoltà di concentrazione o nel prendere decisioni; sentimenti di disperazione.
Il Disturbo Depressivo Non Altrimenti Specificato
Il Disturbo Depressivo Non Altrimenti Specificato è caratterizzato da manifestazioni depressive la cui sintomatologia non porta alla diagnosi del Disturbo Depressivo Maggiore, Distimico ecc. (Es. numero di sintomi presenti inferiore a quello richiesto dai criteri diagnostici).
I sintomi descritti ci confrontano con la gravità del disturbo depressivo.
Si ha come l'immagine di un uomo o una donna presi in "stato di assedio", in una guerra dove non ci sono nemici visibili, ma che attaccano e con violenza, e non ci sono trincee o nascondigli nei quali ripararsi, perché ci si ritrova al centro degli attacchi come bersagli indifesi. Anche i cari ed i familiari condividono questo mondo di guerra, ed a volte sono i primi che si accorgono che "qualcosa non va", spettatori dinanzi agli effetti fisici e mentali della depressione. La persona depressa sembra essere "accerchiata" e colpita in ogni area della sua vita, fino all'estremo, quando pensa alla sua morte.
I sintomi su elencati possono essere riscontrabili in più individui, ma per tornare al concetto dell'unicità, potremmo iniziare a porci delle domande, sul senso della loro esistenza, o sul perché creano, gradualmente, un'atmosfera interna gelida ed immobilizzante nella quale si sta senza avere più la volontà per uscirne. Ci si può domandare "quando", "come" e "perché" è iniziato tutto ciò, in un viaggio a ritroso che fa tornare ad una temporalità.
Tuttavia, nella depressione il dialogo interiore è come spento, dove l'unica voce che rimane è il lamento per una condizione che si avverte immutabile ed insostenibile, che tuttavia ha acquisito il carattere della normalità quotidiana.
Cercare di portare nuove parole al posto della disperazione, è un percorso difficile e doloroso, perché ci si scontra con uno "psichico" (Fédida) che si è congelato per non sentire gli affetti. Per questo è utile essere accompagnati, da uno psicoterapeuta per esempio, o in situazioni attentamente valutate dall'esperto, anche attraverso l'ausilio di una terapia farmacologica.
Farmaci e psicoterapia
Farmaci e psicoterapia, contemporaneamente, sono validi infatti per sostenere la persona nel suo cammino terapeutico.
Quando si ricomincia ad avere una voce "che può parlare", ci si può chiedere "cosa" si è gelato e "dove".
Clarissa Pinkola Estés, una psicologa junghiana, descrive i Descansos o luoghi di sosta, quelle piccole croci bianche lungo le vie del Messico, del Colorado, della Grecia o dell'Italia, che sono lì "in memoria" (le virgolette sono di chi scrive per sottolineare il ritorno alla temporalità) della morte di qualcuno.
"Proprio in quel punto, il viaggio si è improvvisamente interrotto.
È accaduto qualcosa che inaspettatamente ha cambiato
la vita di una persona, e quella di altre, per sempre".
(In "Donne che corrono con i lupi", Estés, pag. 358)
La Estés suggerisce di costruire i propri Descansos, piangendo simbolicamente la morte di ciò che si riconosce perduto, delle strade che non si sono attraversate o delle scelte che non sono state fatte.
Il contattare, il toccare i propri Descansos, può generare, forse, un "calore" che disgela, che porta a far scorrere le lacrime le quali trovano finalmente un luogo che le commuove ed emoziona, tanto da farle uscire.
James Hillmann, uno psicologo junghiano, parla del Daimon, l'aspetto intimo di noi stessi, l'angelo che risiede metaforicamente in noi, che tenta di farci esprimere la nostra vera essenza, la nostra vocazione, la nostra unica ed irripetibile anima-ghianda, nella quale già risiede in nuce la futura quercia che dovremmo diventare in questa vita. Molto spesso si prendono sentieri che portano lontano rispetto la nostra naturale indole, si sommergono gli istinti, si perde quella voce interna che ci indicava le cose che amavamo ed il modo di amarle pienamente.
Particolarmente interessante, a tal proposito, è ciò che descrive la Estés riguardo la donna.
L'Autrice parla del mito della Donna Selvaggia, la parte istintuale della donna, e descrive cosa accade quando tale parte viene soffocata e costretta, quando l'aspetto creativo ed "animale" che porta ad esprimersi nella scrittura e nell'arte, a connettersi con la natura ed i suoi ritmi, a "dare vita", come solo la donna può fare nel suo essere contenitivo, ai desideri dell'essere più profondo, viene dimenticato.
La donna si inaridisce quando perde il contatto con i suoi istinti e con la capacità di concepirli e farli crescere, dimenticando cosa è nutriente e cosa è velenoso per se stessa, senza più distinguere le piante buone da quelle cattive per cibarsene. Aldilà del sesso di appartenenza, i due Autori suggeriscono l'idea che quando si smarrisce l'unione con parti di se stessi, si viene a creare un disagio che talvolta può assumere la forma della depressione.
Colpisce al riguardo l'etimologia della parola de-pressione, togliere pressione, come se le parti vitali non avessero più la forza di premere sulla superficie dell'essere.
Ma cosa costituisce tali parti? Di quali "rotture" stiamo parlando?
Calandoci sempre di più a fondo ed avvicinandoci all'unicità, seguiamo alcuni Autori i quali hanno ipotizzato le cause della sintomatologia depressiva.
Freud spiegò la forte svalutazione di sé della persona depressa (o melanconica) come imputabile ad una rabbia intensa (verso figure significative, reali o introiettate, con le quali ci si identifica), che viene rivolta all'interno.
Bibring considera, invece, la depressione come emergente da una tensione tra ideali e realtà. Da una parte ci si crede forti e potenti inseguendo mete che si ritengono raggiungibili, dall'altra l'Io della persona è consapevole della propria incapacità dinanzi a tali alti obiettivi, e ciò produce depressione.
Arieti, infine, ha ipotizzato che nelle persone gravemente depresse vi possa essere una ideologia preesistente per la quale si vive non per se stessi, ma per un'altra persona, che l'Autore definisce "l'altro dominante".
Le cause prese in esame, seppur brevemente, ci portano vicino ai possibili squilibri interni che vive la persona depressa. Siamo giunti così ad un punto oltre il quale non possiamo più andare, lì dove inizia l'unicità, dove le vicende attraversate, i legami relazionali, e la propria storia sostanziano e danno forma al disagio depressivo.
Lì dove ci sono le "uniche ed irripetibili" risposte per ognuno se si arriva faticosamente ad interrogarsi. Ed in quel deserto, nell'immobilità e nel silenzio, nella non pensabilità, possono tornare le domande, la parola, la possibilità di nominare ciò che sta avvenendo, la capacità di percepire immagini, di sognare di notte, di rimettersi in movimento facendo cadere, uno ad uno, i pezzettini di ghiaccio. E forse quei semi, lì sotto la terra, possono ricominciare a desiderare di essere quelle grandi piante che nel loro piccolo già "sono", nutrendosi del ghiaccio che divenuto acqua, può partecipare alla crescita della loro vita.