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Articolo di psicologia: «Andare in terapia e Psicoanalisi Interpersonale»

La relazione che cura

Articolo pubblicato il 2 Luglio 2013.
L'articolo "La relazione che cura" tratta di: Psicoanalisi (Sigmund Freud).
Articolo scritto dal Dott. Cosimo Santi.

Capita spesso a tutti noi che quando usiamo un nuovo farmaco ci venga voglia di spacchettare il foglietto, il ben noto bugiardino, per capire se proprio quello fa al caso nostro e intuire gli esiti che si potrebbero avere nell'uso. Ora, io paragono chi - anche soltanto per un minuscolo interesse - si informa e si avvicina al mondo della psicoterapia a chi deve assumere un nuovo farmaco e appunto fa una cosa molto semplice, si informa.
E lui sa che in quel foglietto vi troverà con mirabile sintesi le risposte alle proprie attese e al perché proprio quel farmaco fa al caso suo e non un altro o, al limite, perché doverlo usare.

Ma nel caso della psicoterapia, dove non esistono bugiardini prestampati, come fa un individuo a capire se l'avvicinarsi a un percorso psicoanalitico è coerente e logico per il proprio essere e stare nel mondo, e sotto particolari condizioni che ammettano una buona qualità della vita?
La risposta più semplice e meno carica di supporti teorici, che può sembrare addirittura banale, è che risulta fondamentale questo avvicinamento nel caso in cui ci si trovi di fronte a un disagio - che subito accompagnerei dall'attributo "psichico" - che viene variamente interpretato e reso manifesto.

Sempre più di frequente si presentano in consulto persone che lamentano una paura paralizzante di avere un mondo interno non decifrabile e affettivamente vuoto, e queste paure si trasformano in richieste di aiuto - che vanno ben oltre la classica ansia generalizzata, gli attacchi di panico, le fobie specifiche ecc. (configurazione nevrotica dei fenomeni clinici) - e richiedono un modello di azione terapeutica che poggia su una diversa concezione dei disturbi psicologici e in generale della mente e del suo sviluppo.

Queste persone, non accorgendosi che stanno già chiedendo aiuto, mi rivolgono legittime domande su come funzioni la terapia.
Mi chiedono come possa avviarsi e poi stabilizzarsi quel processo di cambiamento in grado di portarli verso una condizione psicologica e di vita migliori. Mi chiedono quale sia quel procedimento o quella strategia applicabile al loro caso e quali siano quegli elementi specifici che caratterizzano l'azione terapeutica. La domanda frequente che in modo più o meno esplicito viene formulata è quindi:

«Perché la psicoterapia funziona?».
È ben noto come già prima di Freud, padre della psicoanalisi, certi fenomeni che mettevano in rapporto terapeuta e paziente fossero ritenuti di un'importanza rilevante: basti pensare che già nella pratica dell'ipnotismo nel settecento e nell'ottocento la relazione tra l'ipnotizzato e l'ipnotizzatore era una forma di rapporto con caratteristiche regressive e di dipendenza tali da ricreare aspetti simili a quelli tra genitore e figlio.
Ma il contributo di Freud nella creazione a livello teorico e clinico di un metodo per capire e poi usare tali sfumature relazionali come fonte del cambiamento fu il punto di partenza per ogni possibile sviluppo.

Psicoanalisi Interpersonale
Oggi la derivazione di quella traccia metodologica è la Psicoanalisi Interpersonale, nel cui solco specifico si colloca la mia azione di terapeuta: una psicoanalisi che avverte il bisogno di recuperare la centralità della relazione umana, satura di sfumature affettive, che si va creando tra paziente e terapeuta. Il rinnovato interesse verso il ruolo del trauma e delle prime interazioni genitori/bambini nello sviluppo delle difficoltà psicologiche ha portato a prestare maggiore attenzione al clima emotivo in cui avviene il trattamento. In questo modello comprensione e relazione non sono separabili: la conoscenza psicologica del sé può svilupparsi solo nel contesto di una relazione in cui terapeuta e paziente sono costantemente coinvolti in una reciproca interazione.

Ciò che accade nella stanza di analisi non è distante da ciò che avviene nell'ambiente relazionale in cui l'individuo si muove, percepisce se stesso e percepisce gli altri, si confronta, si emoziona.
La persona narra la propria vita e si raffronta a quei sentimenti e quei bisogni che sono stati la cornice inespressa della propria esperienza affettiva in quanto figlio, compagno o genitore.
Il terapeuta ascolta e si impegna in un percorso di validazione consensuale in cui la realtà soggettiva viene pensata, ricreata e riformulata, acquisisce cioè senso e significato. Si crea così tra paziente e terapeuta uno spazio mentale o campo psicologico del tutto particolare che sta a metà strada tra fantasia e realtà, libero gioco e verifica critica.

Si crea un ambiente buono, comprensivo, in cui diventa possibile esprimere i propri bisogni emotivi profondi e sentirsi accolti; in poche parole creiamo insieme una relazione significativa.
Ciò che quindi rispondo in prima battuta alle persone è questo: «La terapia funziona perché si crea una buona relazione. La terapia in fondo è un rapporto umano tra due persone che collaborano ad un fine comune: il cambiamento terapeutico; ma per fare questo è necessario costruire un rapporto onesto in cui ci si può fidare e mettere in gioco».
In genere parole come queste generano un certo stupore e aprono il campo a nuove domande su cosa si intenda con "buona relazione".

Quando ci riferiamo a buona relazione o relazione significativa intendiamo la necessità di sviluppare un clima affettivo positivo, empatico e volto alla riflessione, atteggiamento riconducibile metaforicamente a una posizione di amorevolezza materna. È importante che la persona percepisca lo spazio della terapia come il volto di una madre, capace di contenere le angosce e restituire tranquillità. Tanto più il terapeuta riesce ad andare incontro al paziente con comprensione, pazienza e cordialità, tanto più ne trae vantaggio l'analisi.

Si crea una base sicura su cui affrontare, con la prospettiva di risolverli, i conflitti che prima o poi si presenteranno.
La persona avrà così modo di confrontare il nostro atteggiamento con quello di cui ha fatto esperienza nella propria famiglia e, per la prima volta, sentendosi al riparo dal pericolo di quelle esperienze, potrà serenamente immergersi e affrontare i temi spiacevoli della sua vita. Tuttavia, affermando che la relazione è una delle componenti primarie dell'azione terapeutica, si corre il rischio di dare una risposta priva di utilità poiché astratta e concettualmente troppo generale. Occorre quindi fare chiarezza su quali siano i processi specifici che rendono la relazione un agente terapeutico. Per cui la successiva domanda posta dal paziente potrebbe essere:

«Che cosa c'è in questa relazione che la rende terapeutica?».
Diciamo subito che l'azione terapeutica svolta dalla relazione analista/paziente fornisce un'esperienza emotiva potenzialmente correttiva. Questa possibilità si basa sul fatto che il comportamento e le reazioni del terapeuta sono diverse dalle aspettative che il paziente si è formato attraverso le precoci esperienze con le figure genitoriali. Il comportamento del terapeuta tende quindi a non avvalorare le aspettative disadattive del paziente, ma idealmente a sostituirle con aspettative e rappresentazioni più adattive.

Sappiamo infatti dallo studio dello sviluppo infantile che gran parte di quello che il bambino impara di sé e del mondo interpersonale è mediato da una relazione di solidarietà con i genitori. I modi in cui siamo stati trattati dalle prime figure di accudimento rimangono inscritti dentro di noi e fanno parte della grammatica del nostro Sé, cioè delle regole esistenziali e relazionali che adottiamo per vivere la nostra vita. Tuttavia alcune cose che acquisiamo in quel periodo e poi non mettiamo più in discussione sono disadattive.
Accade allora che come queste iniziali credenze siano state acquisite nell'ambito di una relazione interpersonale, anche per comprenderle a fondo e modificarle è necessaria una relazione interpersonale.
Per l'approccio terapeutico qui discusso non è solo il bambino ad acquisire un senso e una conoscenza di sé attraverso l'interazione cognitiva e affettiva con un'altra persona significativa, ma anche l'adulto.

La relazione che cura il disagio individuale si basa quindi sulla necessità di creare uno spazio mentale che non è più di una persona sola, ma sociale (due individui formano una società), in cui non vi è una netta linea di demarcazione tra ciò che è nella mente del paziente e ciò che è nella mente del terapeuta, tutto è costruito da entrambi in un complesso processo di negoziazione e di attribuzione di significato.

Letture consigliate

Per approfondire gli argomenti trattati rimando il lettore ai seguenti lavori:

  • "Da Freud alla psicoanalisi contemporanea" (2011), Eagle M.N., Raffaello Cortina Editore, Milano 2012
  • "Opere vol.4." (1927-1932), Ferenczi S., Raffaello Cortina Editore, Milano 2002
  • "L'azione terapeutica" (2000), Jones E.E., Raffaello Cortina Editore, Milano 2008
  • "Il colloquio psichiatrico" (1954), Sullivan H.S., Feltrinelli, Milano 1967
  • "Sviluppo affettivo e ambiente" (1960), Winnicott D.W., Armando Editore, Roma 2007

Per approfondire

  • Psicoanalisi della Relazione di Dott.ssa Silvia Cilli
    Argomenti principali: Relazioni, Amore e Vita di Coppia e Psicoanalisi (Sigmund Freud).
  • Sogno o son desto? di Dott.ssa Giuseppina Cantarelli
    Argomenti principali: Psicoanalisi (Sigmund Freud) e Psicologia Analitica (Jung).
  • Relazioni pericolose di Dott.ssa Giuseppina Cantarelli
    Argomenti principali: Intelligenza Emotiva, Relazioni, Amore e Vita di Coppia, Sesso e Sessualità e Psicoanalisi (Sigmund Freud).
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