Articolo pubblicato il 16 Ottobre 2013.
L'articolo "Anoressia al femminile" tratta di: Disturbi Alimentari, Anoressia, Bulimia e Obesità.
Articolo scritto dal Dott. Juri Messieri.
I disturbi alimentari sono disturbi molto diffusi; i dati statistici che sono a disposizione dicono che ne soffre circa il 5% della popolazione. Io credo che questi dati siano sottostimati, che molti disturbi non arrivino alla nostra attenzione, e mi riferisco in particolare anche ai disturbi alimentari che nascono nella fascia di età pediatrica. Metto spesso insieme l'anoressia e la bulimia nel discorso perché sono l'altra faccia di una stessa medaglia.
L'anoressia è oggetto di informazione che troviamo abbastanza sui media, sui giornali, che però spesso è spettacolaristica, anche terroristica, mira cioè a mettere in evidenza quegli aspetti che fanno notizia. Quando si parla di anoressia, non si parla soltanto di un disturbo che ha a che fare con un problema rispetto al cibo, ma anche di un disturbo in cui è molto forte la centralità del corpo.
La questione del corpo è ancora più centrale di quella del cibo, all'interno di questo disagio. Tra le malattie psicologiche l'anoressia è tra le prime a rischio di morte, tanto che c'è una definizione che utilizziamo, dicendo che l'anoressia è in qualche modo una sorta di suicidio differito, messo in atto dalla persona. Questo serve a ricordarci la forza di una spinta antivitale, di una spinta mortifera che purtroppo abita il cuore delle anoressiche. L'anoressia è un disagio che riguarda tipicamente il femminile.
Le anoressie di oggi non sono più le anoressie di 15 o 20 anni fa, per una serie di ragioni. Quelle di oggi hanno cambiato il "quadro fenomenologico", cioè ci appaiono in modo diverso, innanzitutto perché c'è una forte comorbilità (presenza di due o più malattie diverse contemporaneamente) con altri disturbi di carattere psichiatrico, con altri sintomi come attacchi di panico, con altre forme di dipendenza e quindi un quadro sempre più mischiato, misto, sovrapposto. Sicuramente c'è una cosa che non si è modificata in tutti questi anni, e che riguarda la difficoltà a chiedere aiuto, cioè a produrre una domanda di cura.
Chi soffre di anoressia non ha alcuna intenzione di curarsi, in qualche modo trovando una sua auto-cura che si chiama anoressia ed è per noi psicoterapeuti un disturbo difficile da trattare, perché molto è difficile entrare in una relazione terapeutica. Non sono le persone che soffrono di anoressia a chiedere aiuto, sono soprattutto le persone che stanno vicino a loro, producendo una domanda che parte prima di tutto dalla famiglia, dai fidanzati, dagli amici, dalla scuola, dai mariti.
In questi anni, insieme ad altri colleghi, ci siamo dati un compito che è quello di portare l'attenzione sul fatto che l'anoressia non è un disturbo dell'appetito ma la spia, il segnale di un altro tipo di malessere, e quindi ci siamo attrezzati per raccogliere una domanda molto difficile da accogliere, una domanda impronunciabile o che a volte si presenta come una sfida.
Per noi che incontriamo queste persone si tratta di produrre una ego-distonia nell'ambito di un sintomo che è essenzialmente ego-sintonico.
Cosa vuole dire questa cosa? Vuole dire che non "fa problema" per la persona che ne soffre, visto che è in qualche modo in perfetto equilibrio con il suo io e sicuramente anche perché la persona anoressica con il suo corpo ridotto pelle ed ossa risponde ad un certo discorso sociale che vede nella magrezza l'ideale della bellezza contemporanea.
Faccio un altro esempio per fare capire che cosa s'intende per un sintomo ego-sintonico. È solo recentemente che si è iniziato a parlare del problema dell'anoressia tra le danzatrici nella danza. Un libro che denunciava come l'anoressia all'interno del teatro la Scala di Milano fosse come "prescritta" ("La verità, vi prego, sulla danza", Mariafrancesca Garritano - Mary Garret, Edizioni Italia Press, 2010). La danzatrice che ha denunciato questa cosa è stata poi licenziata dalla Scala. Questo vuole dire che l'anoressia in molti contesti sociali è un sintomo ego-sintonico.
Tutte le volte che mi capita di parlare di questo problema ritengo sia molto importante prestare attenzione alla prevenzione, alla sensibilizzazione che dobbiamo fare sicuramente nei confronti della scuola, dei mezzi di comunicazione, ma anche al lavoro che bisogna fare con le famiglie, perché è molto importante offrire loro gli strumenti critici che permettano di leggere in che cosa consiste questo problema, che spesso paralizza il nucleo familiare e produce un senso di impotenza e di angoscia nei genitori, nei fratelli e in tutte quelle persone che hanno dei rapporti significativi con persone che soffrono di anoressia.
La soglia di insorgenza tipica di questo disagio è l'adolescenza, anche se abbiamo recentemente delle statistiche che dicono che questa soglia di insorgenza si sta pericolosamente abbassando, ad esempio nella fascia pre-puberale, tra gli 8 e i 12 anni, ma sicuramente l'adolescenza rimane l'età a rischio, e questo non a caso. Poi ci sono anche adulti che soffrono di disturbi alimentari, parlo di persone di 40-50 anni. Ma l'adolescenza è il momento in cui una persona deve cominciare ad abitare il corpo che non è più il corpo dell'infanzia; deve quindi fare spazio a questo corpo che cambia, fino ad assumere l'identità sessuale, e l'adolescente deve lasciarsi alle spalle il corpo delle cure infantili per impossessarsi del suo corpo sessuato che è qualcosa di cui non conosce bene la natura. È proprio a partire da tutti questi cambiamenti che investono il nuovo assetto pulsionale - il corpo dell'adolescente - che i conti non tornano più, soprattutto davanti allo specchio, ed in modo particolare per le ragazze.
Apro una parentesi.
La donna ha un rapporto con lo specchio molto diverso da quello dell'uomo.
Questi conti davanti allo specchio non tornano più soprattutto per le ragazze, ma a mio avviso più il tempo passa e più queste cose riguarderanno anche il mondo maschile.
Tra la ragazza e lo specchio si produce una domanda che più o meno suona così: «Come posso separarmi dallo sguardo di mia madre?».
Lo sguardo materno è lo sguardo attraverso cui impariamo a riconoscerci, che vuole dire che è lo sguardo alla base della costituzione del nostro corpo. «Quindi come posso assumere uno sguardo nuovo?». Come posso separarmi dallo sguardo di mia madre è come dire come posso separarmi dal corpo di mia madre per imparare ad avere un altro corpo, separato dal suo. Credo che sia proprio questo - nella clinica dell'anoressia - il punto nodale con cui noi abbiamo a che fare nel nostro lavoro.
Che cos'è il nostro lavoro, di chi incontra queste pazienti?
È un lavoro che ha a che fare in modo particolare non tanto con l'appetito, ma la partita si gioca su un piano della storia soggettiva, sul piano degli incontri della persona con i suoi drammi, con le esperienze, ripercussioni di questi incontri chi si inscrivono sul corpo. Noi trattiamo soprattutto ciò che si inscrive sul corpo dei nostri pazienti, vale a dire il loro desiderio - a volte neanche troppo inconscio - di volere ostinatamente cancellare il loro corpo. Questo non soltanto nelle forme restrittive come l'anoressia, ma anche nelle forme "iperfagiche" (aumento incontrollato dell'appetito) penso per esempio all'obesità, dove il corpo molto spesso non è niente altro che una barriera che il soggetto mette tra sé e l'Altro (come anche nel corpo emaciato e deperito).
Tipico della posizione femminile è quella di oggetto del desiderio dell'Altro, con la quale la donna entra in rapporto sessuale e amoroso e che può spingersi fino ad una deriva mortale, può spingersi cioè fino al masochismo, può diventare qualcosa che corre dietro al senza limite della domanda d'amore femminile che può diventare una modalità di annientamento. Cosa dicono le donne?
«Sarò come tu mi vuoi, fino alla morte, pur di essere il tuo unico oggetto». Questo dice qualcosa della dipendenza femminile dal desiderio e dallo sguardo dell'Altro che è una caratteristica intrinseca della donna.
Come se dicesse a se stessa: «Esisto nella misura in cui tu mi vedi e nella misura in cui il tuo sguardo gratifica la mia esistenza e mi dà un posto nel tuo desiderio e di conseguenza me lo dà nel mondo».
Anche a livello sociologico, antropologico, abbiamo assistito ad un cambiamento nel corpo della donna nelle varie epoche e siamo di fatto passati dall'idea di un corpo riproduttivo, in cui il valore della femminilità e della maternità era effettivamente esaltato nelle epoche passate, ad un corpo femminile produttivo, cioè ad un corpo che - per rispondere anche alla domanda sociale - si è in qualche modo adeguato ai ritmi del lavoro, a tal punto che noi oggi vediamo che si è venuta a creare una sorte di androginia (caratteristiche di tutte e due i sessi) diffusa della donna.
Non è raro per una donna sentire sul luogo del lavoro: «Devi scegliere se fare un figlio o se continuare a lavorare».
Il corpo femminile quindi è passato dall'essere un corpo riproduttivo all'essere un corpo produttivo. Anche questa è una risposta che viene dall'Altro, che viene dal discorso sociale e questa questione la ritroviamo anche in un altro fenomeno che è quella quota di condizionamento sociale e mediatico, che le donne subiscono e che costituisce immagini femminili di un certo tipo, immagini femminili patinate, irreali, irraggiungibili con l'obiettivo di fare della donna uno stereotipo. Quindi il corpo femminile in questo caso si deve piegare a rappresentare degli ideali irraggiungibili da emulare.
È come se il condizionamento sociale a cui siamo sottoposti cercasse di definire la donna non attraverso il particolare che la rende unica, ma attraverso la spinta all'emulazione integrale di modelli standardizzati. Tornando alla questione del titolo di questo articolo, la magrezza a cui aspira l'anoressica non ha un legame col desiderio sessuato, e questo forse ci permette di pensare che - nell'anoressia - l'imitazione della magrezza è ciò che viene al posto dell'enigma sull'essere femminile; cioè l'imitazione della magrezza è ciò che viene al posto della domanda sul mistero della femminilità, come se ci fosse un assioma per l'anoressica a partire da un assunto che dice: «essere donna vuol dire essere magre».
L'imperativo della magrezza.
È l'assioma che fonda l'universale femminile, quindi essere donna vuol dire essere magra, e a volte può considerarsi come una risposta a molti fantasmi femminili riposti nelle madri delle ragazze anoressiche.
Quindi si tratta di un'identificazione con la magrezza che non tiene conto dell'impianto della differenza sessuale perché viene a mancare il passaggio per un terzo. E cos'è il terzo? Il padre. Un desiderio di un padre.
Questo terzo è assolutamente fondamentale perché una figlia possa costruire "l'ossatura" del suo corpo di donna, altrimenti il rischio è quello di rimanere "pelle ed ossa" come nell'anoressia.
Questo per dire che l'imperativo della magrezza non ha nell'anoressia l'obiettivo di piacere agli uomini. Come dire che il desiderio dell'Altro in questo senso le interessa poco, cioè non rientra negli interessi della persona anoressica. Il desiderio dell'Altro è qualcosa che angoscia l'anoressica ed è per questa ragione - per evitare l'angoscia dell'incontro con il desiderio - che l'anoressica erige questo rifiuto. Partendo da tutte queste considerazioni mi sono posto alcune domande:le anoressiche sono una versione aggiornata dell'enigma sulla femminilità enunciato da Freud, oppure enunciano un meccanismo d'inciampo sulla questione femminile? Credo che sia importante riuscire a dare una risposta a queste domande.
Al cuore dell'anoressia c'è un forte investimento dell'immagine corporea. Che cos'è questa immagine corporea dell'anoressia?
È un immagine che davanti allo specchio diventa irriconoscibile, perturbante, un'immagine quindi che si perde nello specchio più che ritrovarsi.
È per questo motivo che parliamo di dismorfobia (paura di essere/diventare deformi e brutte) o dispercezione (visione alterata) dell'immagine corporea, per descrivere il fenomeno che accade di fronte allo specchio in cui le ragazze anoressiche si guardano e - anche quando sono ridotte pelle ed ossa, quindi arrivano a pesare 30 kg - di fronte all'osso che sporge, la vertebra che viene fuori, loro vedono il grasso.
Questa è la dispercezione dell'immagine corporea, che è un fenomeno che riguarda molti sintomi dell'attualità, nel senso che non riguarda non solo le donne ma anche gli uomini. Un esempio è la "vigoressia" (visione alterata dell'immagine corporea, diete ristrette a base di pochi alimenti ed eccesso di sport/palestra), ragazzi o uomini che non si vedono mai abbastanza gonfi muscolarmente, che fanno uso di anabolizzanti, di una dieta iperproteica ecc. ecc.
Noi psicoterapeuti, impegnati nel percorso terapeutico con queste persone, ci occupiamo inizialmente di due questioni che quindi sono al centro della nostra clinica e che richiedono grande attenzione da parte nostra: da una parte il cibo, e dall'altra il corpo, cioè l'immagine corporea.