Articolo pubblicato il 11 Maggio 2015.
L'articolo "Come nascono i campioni" tratta di: Autostima.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Valentina Penati.
Come mai tra centinaia, migliaia di bambini che praticano il medesimo sport solo uno diventa un campione?
Che differenza c'è tra un bravo atleta e il grande campione?
Che ruolo hanno l'educazione, la famiglia e l'impegno nel "fabbricare" un campione? Moltissime sono le variabili in gioco e altrettanti i fattori che possono determinare i percorsi di maturazione agonistica degli atleti.
L'allenamento, l'impegno e la dedizione sono fondamentali affinché il giovane atleta impari ad auto-regolarsi, a comprendere che per eccellere è necessario persistere, a dispetto della fatica e delle difficoltà.
Ma non basta!
Chi diventa un campione, chi può concretamente pensare di vincere una medaglia d'oro alle Olimpiadi ha qualcosa in più.
Questo qualcosa non risiede unicamente nelle ore trascorse in palestra, non sta solo nel rispetto delle regole o nell'impegno.
Questi sono fattori certamente essenziali per qualsiasi atleta che desideri intraprendere un percorso agonistico di successo, ma c'è qualcosa di più.
Si tratta di qualcosa di impalpabile, qualcosa che riguarda l'immagine che l'atleta ha di se stesso, il suo modo di pensarsi in gara, nei successi e nelle sconfitte. In una parola, ciò è riassumibile nel concetto di Autostima.
L'autostima non ce la insegnano a scuola, non la si impara sui libri né attraverso dei tutorial. È qualcosa che si forma nel corso dello sviluppo, attraverso i rimandi positivi delle figure di riferimento appartenenti all'infanzia, la sicurezza di aver sperimentato situazioni positive, di successo o anche di insuccesso, ma senza farne un dramma.
Ecco, chi si appresta a una competizione sportiva con questo tipo di sicurezza in se stesso sarà in grado di gestire la competizione nel migliore dei modi. Non si accosterà alla gara con il dubbio di aver disimparato a sciare, correre, colpire la pallina; non si farà destabilizzare dal cambiamento delle condizioni atmosferiche, dall'interruzione dell'incontro o da un tifoso che urla troppo forte.
Nonostante il cambiare delle condizioni, il campione rimane sempre se stesso, consapevole delle proprie possibilità e sicuro che - anche a fronte di una sconfitta - il suo valore non ne rimarrà intaccato.
Stavolta è andata così, ma l'insuccesso non è per sempre.
Tollerare la sconfitta, interpretandola come parte della vita agonistica - senza ricorrere a giustificazioni né attribuendola a fattori esterni, ma riuscendo ad assumersene la responsabilità - garantisce all'atleta un maggiore controllo sulla propria performance.
Lo rende artefice del successo così come dell'insuccesso e lo sprona a investire le proprie risorse fisiche e psichiche nella concretizzazione di un gesto tecnico vincente, piuttosto che nella ricerca di fattori in grado di motivare una vittoria o, più frequentemente, una prestazione deludente.
Questo tipo di mentalità fa la differenza e, a lungo andare, permette all'atleta di risollevarsi dalle difficoltà, dagli infortuni o dai cambiamenti tecnici imposti dallo sport.
Abbiamo detto che l'autostima non si insegna a scuola né sui libri.
L'autostima è frutto dell'esperienza. Non dimentichiamoci però che l'esperienza è un processo che passa attraverso la relazione con gli altri. Parlando di sport e di atleti che si apprestano a diventare i campioni del domani, non possiamo non pensare agli allenatori, ai tecnici e ai preparatori atletici, ma anche ai genitori che spesso hanno un ruolo decisivo nella pratica sportiva dei giovani.
Coloro che hanno per le mani gli atleti, in sostanza, hanno il compito di forgiarne l'autostima, la fiducia in sé e nelle proprie capacità; li devono motivare, non punire, li devono capire nella difficoltà e ridimensionare nel successo.
Non è un lavoro facile, spesso va oltre quelle che per definizione sono le competenze dello staff degli allenatori, ma è bene essere consapevoli che questo lavoro di corollario farà la differenza nella vita agonistica dell'atleta.