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Articolo di psicologia: «Disturbi d'Ansia e intervento clinico»

SOS Ansia

Articolo pubblicato il 15 Giugno 2015.
L'articolo "SOS Ansia" tratta di: Disturbi d'Ansia.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Licia Cutaia.

Pensiero, corpo e relazioni

Il disturbo d'ansia spesso è una reazione a un evento traumatico oppure è l'esito di forti cambiamenti nella qualità di vita o nel ruolo che abbiamo assunto: essere diventato genitore, avere trovato lavoro, essersi laureato, avere fatto carriera al lavoro...

L'ansia è una risposta del nostro corpo che recepisce le nostre emozioni e le comunica all'esterno.
Noi siamo un corpo, siamo una mente e siamo anche una storia.

Questa breve affermazione significa che l'intervento clinico volto a gestire l'ansia ha a che fare con questi tre aspetti:

  1. la consapevolezza su cosa accade nel nostro corpo quando entriamo in ansia;
  2. l'insieme dei pensieri e delle emozioni che produciamo quando siamo ansiosi;
  3. la conoscenza degli intrecci relazionali e del percorso di vita che ci hanno portato a essere chi siamo.

Quest'ultimo punto intende l'insieme delle idee di riferimento che noi abbiamo di noi stessi e degli altri, di come gli altri ci vedono e di come queste percezioni sono cambiate nel tempo.

La nostra storia custodisce l'origine dei nostri pensieri e dei nostri comportamenti. Per questo i disturbi ansiosi vanno trattati tenendo conto anche della nostra storia di vita dal punto di vista relazionale.
Peraltro, nel qui e ora, la qualità delle relazioni che costruiamo rinforza il modo di comportarci e anche quello che proviamo nello stare con gli altri.

Per esempio, se un soggetto ansioso in famiglia gode della compagnia di parenti che lo proteggono particolarmente e che si prendono cura di lui in modo totalizzante, o semplicemente tendono a fare quello che lui potrebbe fare in autonomia, egli inconsapevolmente rinforza l'ansia giacché dissuade ogni atto di coraggio e intraprendenza individuale.
Eppure il punto di vista benevolo e immediatamente consapevole da parte dei familiari sarebbe quello di agire per proteggere il proprio congiunto, non certo di rinforzare il mantenimento del comportamento ansioso.

In effetti molti comportamenti che mettiamo in atto per proteggere qualcuno, possono convogliare in iper-protezione e quindi essere ansiogeni, perché alludono a rischi immaginari o a pericoli che, in verità, potrebbero essere tranquillamente gestiti anche da chi subisce l'eccesso di cure.

L'idea che ciascuno si costruisce di se stesso è connessa a come gli altri lo vedono e a quanta fiducia è assegnata alle sue capacità e alla sua autonomia.
Se una persona è ansiosa e viene protetta in modo eccessivo, la sua capacità di fare leva sulle proprie risorse sarà sempre carente e dunque avrà sempre bisogno di un supporto altro.

Al contempo incentivare repentinamente all'autonomia chi ha goduto sempre di un sostegno e dell'aiuto dell'Altro, potrebbe scatenare reazioni diametralmente opposte di aumento dell'ansia e di dipendenza.
Per questo occorre sapere dosare il percorso di autonomia e di fiducia in se stessi e nel mondo esterno a piccoli passi, per potere raggiungere la credibilità e la stabilità.

L'intervento clinico quindi mira a regolare questi piccoli passaggi e al contempo a sapere costruire connessioni e consapevolezze tra la dimensione corporea (comportamentale), psichica (mentale ed emotiva) e relazionale al fine di raggiungere il benessere.

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