Articolo pubblicato il 4 Dicembre 2015.
L'articolo "Disturbo Ossessivo Compulsivo" tratta di: Disturbo Ossessivo Compulsivo e Terapia Cognitivo Comportamentale.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Alessia Sarracini.
Il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) è un disturbo d'ansia caratterizzato dalla presenza di ossessioni e compulsioni.
Esso suscita un interesse speciale tra gli Psicoterapeuti per diverse ragioni, in modo particolare per la sofferenza che comporta, sia nei pazienti che nei loro congiunti; si tratta infatti di un disturbo che, minando decisamente le risorse che in genere vengono impiegate per la realizzazione di sogni e aspettative, riduce di molto le possibilità di una pienezza di vita.
Il DOC colpisce circa il 2-2,5% della popolazione e l'incidenza è massima tra i 15 e i 25 anni.
Essendo un disturbo che si cronicizza, significa quindi che moltissimi giovani rischiano di avere gravi danni esistenziali senza trattamenti adeguati.
Perché si possa parlare di DOC deve esserci una componente ossessiva, ovvero fatta di pensieri, e una componente compulsiva, ovvero azioni visibili, ma anche mentali e nascoste, che si mettono in atto come conseguenze delle ossessioni.
Le ossessioni sono idee, immagini, pensieri, impulsi ricorrenti, persistenti e angosciosi che sono vissuti come intrusivi e inappropriati.
La persona che ne soffre ha un chiaro riconoscimento del fatto che le ossessioni sono un prodotto della sua mente.
Le compulsioni sono invece comportamenti (come lavarsi le mani, mettere in ordine le cose, controllare qualcosa) o azioni mentali (come contare, pregare, ripercorrere le cose fatte, immaginare qualcosa come si fosse davanti a un film, messe alla prova, test mentali) che si caratterizzano per l'essere ripetitive e soprattutto intenzionali.
Le compulsioni vengono messe in atto successivamente all'ossessione, infatti, e avrebbero lo scopo di prevenire, ovvero di non far accadere, ciò che è contenuto nell'ossessione e di ridurre l'angoscia generata dall'ossessione stessa. Secondo il soggetto, infatti, le compulsioni, se applicate in modo rigido, con meticolosità e precisione, avrebbero il potere di scongiurare l'evento temuto che si profilava con l'ossessione.
A dispetto di ciò che sembra superficialmente, le compulsioni non sono prive di senso, però è altrettanto vero che le persone non affette da DOC, pur non volendo che un certo evento negativo X si verifichi, vivono senza il bisogno di avere la certezza assoluta che questo non si verificherà.
Ciò è spiegato dal fatto che gli ossessivi sono tutte persone iper-scrupolose, iper-corrette, con un senso del dovere eccessivamente sviluppato per cui la realtà viene interpretata principalmente in termini di giusto/sbagliato.
Quando si ammalano, le compulsioni sono finalizzate a prevenire colpe per irresponsabilità e prevenire una contaminazione, ma entrambi questi eventi rimandano a un evento ultimo così grave da giustificare appieno un tale investimento di energie attraverso le compulsioni.
L'evento ultimo è sempre la costatazione di una colpa mostruosa e insopportabile che comporterà il rifiuto, accompagnato da disprezzo, da parte di tutta la comunità.
Fin quando la persona affetta da DOC non sa di avere a che fare proprio con questo disturbo, continua a resistervi come meglio può: contrastando le ossessioni attraverso i vari riti, ma questo sforzo non aiuta affatto, anzi contribuisce a rafforzare e mantenere nel tempo il problema.
A differenza degli altri Disturbi d'Ansia, i sintomi del Disturbo Ossessivo Compulsivo possono essere molto diversi tra loro, tanto che ogni paziente fa fatica a credere ai diversi modi in cui si possa soffrire o complicare la propria vita e riconoscere in quei sintomi lo stesso colpevole!
È ancora comune che le persone affette da DOC non accedano ai trattamenti adeguati; numerosi sono i fattori coinvolti.
Molti pazienti si affidano solamente ai farmaci che, sebbene siano utili, conducono agli esiti migliori se in combinazione a trattamenti psicoterapeutici specifici.
Alcuni ci convivono per anni, mantenendo nascosto il loro problema ritenendolo qualcosa di cui vergognarsi, oppure non hanno fiducia nelle cure o, ancora, preferiscono non ingaggiarsi in una Terapia che comporta un grosso lavoro personale.
Altri non si impegnano seriamente in alcuna Terapia per timore di perdere dei "vantaggi" che perfino un disturbo può comportare.
Per esempio: dare la colpa ad altri o al destino per le proprie sofferenze, senza assumersi la responsabilità dei propri cambiamenti; essere dispensati da compiti antipatici; essere lasciati in pace dai familiari; esercitare un certo tipo di controllo in famiglia.
Una parte di essi non cerca neanche una Terapia ritenendo che il costo sia troppo elevato, senza accorgersi che i costi di vita del convivere con il DOC, senza armi in pugno, sono di gran lunga maggiori.
Moltissimi altri invece non intraprendono un percorso mirato a causa della disinformazione che ancora regna nel campo della Salute Mentale, quindi si affidano a Terapeuti non esperti, non specializzati o anche non interessati al DOC, in maniera molto meno consapevole rispetto a quando si sceglie un Ospedale per il trattamento e cura di una malattia organica.
Da quanto detto, risulta chiaro che - quando un paziente ossessivo vince tutte le resistenze relative al rivolgersi a un professionista - è spesso malato da molto tempo, forse già deluso da precedenti Terapie, sovente abituato a nascondersi, vergognarsi e a isolarsi.
Le persone con cui vive il paziente, anche le più importanti, frequentemente non sono in grado di riconoscere nei sintomi il disturbo e pertanto sono a seconda dei casi confusi, critici, impauriti.
Sarebbe pertanto molto importante ricevere, già durante un primo colloquio, informazioni chiare sul disturbo, per esempio sulla sua diffusione, sul suo funzionamento, come sia accaduto che un primo pensiero normale sia diventato ossessivo, esempi di altri pazienti che proiettino verso un futuro migliore perché - come amo sempre dire - il primo passo per uscirne è conoscerlo!
Ma sarebbe ancora più fondamentale dimostrare preparazione specifica non lasciandosi scomporre dal contenuto delle ossessioni, mostrando invece la logica anche del sintomo più assurdo e la necessità che il paziente stesso impari a fare altrettanto.
Già in questa fase iniziale, il paziente può sentirsi compreso, primo passo per lo sviluppo di una relazione basata sulla fiducia, fondamentale per tutto quello che verrà.
Sempre durante un primo incontro, è necessario spiegare come si struttura una Terapia per il DOC ma, avendo ricostruito insieme lo schema individuale del disturbo, risulta di facile e veloce comprensione. Si introduce così anche il ruolo dell'Esposizione con Prevenzione della Risposta (ERP), per cui deve esserci un chiaro accordo tra Paziente e Terapeuta.
Il Terapeuta motiverà con argomenti utili, ma non forzerà mai il Paziente a procedere con un esercizio di esposizione non concordato insieme preventivamente, il paziente si impegnerà a seguire i passi concordati.
Si evince quindi che è il Paziente il responsabile del trattamento, il Terapeuta sostiene solo con attenzione, competenza e, se necessario, funge da esempio e da presenza in alcune fasi dell'esposizione.
L'impegno richiesto dalla Terapia è alto.
Affrontare il DOC in modo nuovo comporta anche molta ansia, ma in genere minore rispetto all'ansia che si sperimenta quotidianamente a causa del disturbo.
La Terapia Cognitivo Comportamentale è una Terapia a breve termine, ciò significa che nel giro di alcuni mesi deve essere visibile un miglioramento concreto, fatto di minore ansia esperita, minori compulsioni, minori limitazioni alla propria vita. In particolare imparare a conoscere come funziona il proprio disturbo permette:
Spessissimo, non appena un paziente comincia a migliorare riesce anche a trovare il lato positivo del disturbo, quando accade è sempre molto bello poiché il DOC leva molto.
Riuscire a considerare il disturbo anche come una risorsa, a volte significa ridurre la sensazione di aver buttato alcuni anni della propria vita. Ogni volta che succede, i pazienti sono increduli e con essi anch'io, che non smetto mai di stupirmi del loro coraggio, di osservare dove spesso siano arrivati nella vita a dispetto della propria sofferenza, che nella maggior parte dei casi rimane nascosta al resto del mondo.
Continuo sempre ad essere colpita da come essi per primi non riconoscano i traguardi raggiunti anche nella Terapia, e pertanto buona parte del lavoro è proprio sulle auto-svalutazioni.
Nella terapia del DOC, soprattutto se grave, è normale riscontrare periodi in cui si procede speditamente che si alternano ad altri di arresto o anche di regressioni. Ogni passo indietro in genere viene interpretato come la prova che la Terapia non funziona e accompagnato da delusione, ma alti e bassi sono la regola più che l'eccezione, è il corso naturale delle cose, oltre che della Terapia, e va accettato.
Ritengo fondamentale non esercitare anche sulla Terapia un controllo intransigente, poiché questo è proprio l'atteggiamento tipico del DOC, facilmente comporterebbe sensi di colpa, ma pochi spunti per andare nuovamente avanti.
Sicché quando capita di tornare indietro, si fa l'unica cosa possibile, si riaffrontano le stesse paure, e non c'è nessun motivo per cui un metodo che abbia funzionato una volta non possa essere nuovamente valido.
Quando si esaminano l'andamento della Terapia o i risultati raggiunti, presto particolare attenzione alle aspettative che i pazienti hanno su loro stessi, poiché di solito sono molto elevate.
Come molte altre persone, a maggior ragione i pazienti DOC, danno più importanza a ciò che non ha funzionato rispetto a ciò che è andato bene.
Una parte importante dell'intervento consiste nel saper accettare risultati buoni, anche se non perfetti, poiché - ancora una volta - il perfezionismo è tipico del DOC, inoltre ciò che importa è la qualità della vita, e se si riesce a condurre la propria vita come se il DOC non ci fosse, a non essere limitati dall'ansia, allora questo per me è sempre un grande risultato.