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Articolo di psicologia: «Bambini, adolescenti e suicidio»

L'evoluzione dell'idea di morte nel bambino

Articolo pubblicato il 8 Maggio 2009.
L'articolo "L'evoluzione dell'idea di morte nel bambino" tratta di: Depressione.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Fernanda Cafarelli.

Un aspetto basilare per la comprensione del comportamento suicidario in età evolutiva è la formazione del concetto di morte nel bambino. È da circa quindici anni che se ne discute in maniera sistematizzata. Nell'anno in corso nelle scuole italiane e tramite i mass media si è iniziato a parlare della formazione dell'idea di morte nel bambino, anche se con aspetti comunicativi sensazionalistici e talvolta semplicistici.
Fermo restando che lo sviluppo psicologico del bambino può ovviamente essere indagato sia nella sua normalità, operando una distinzione forzata e teorica tra componenti cognitive e somatiche, sia in un'ottica "psicopatologica", quella cioè che considera le determinanti disfunzionali di un comportamento, legate a disturbi psicologici. Come ha dimostrato il grande psicologo Piaget, ad ogni tappa evolutiva si sviluppano varie forme di pensiero, così anche l'idea sulla caducità della vita ha un suo cammino.

I° Tappa: Assenza/Non esistenza
La curiosità che i bambini mostrano anche per eventi relativi alla morte, per esempio di un passerotto, non sempre connotata di angoscia, vuole essere espressione dell'aumento d'interesse verso sé e il proprio mondo.
La cognizione di morte è speculare a quella di vita.
Interrogarsi sul perché un passerotto sia morto mentre si è vivi, significa appunto cimentarsi su tale doppia possibilità.
La costruzione dell'idea di morte e dolore nasce naturalmente in un periodo delicato della crescita, secondo Melear1, propedeutico alla maturazione degli stili affettivi. Proprio per questo al genitore non converrebbe travisare certe domande, ma anzi servirsene per cercare di capire maggiormente il mondo infantile. Dagli studi iniziali psicoanalitici, i vari autori hanno ritenuto che il concetto di morte subisca una progressiva trasformazione2.
Verso la fine del primo anno di vita, nel corso dell'esperienza di separazione dalla madre, il bambino stabilisce dal punto di vista cognitivo ed affettivo l'equivalenza: assenza/presenza come assenza/non-esistenza.

La prima idea di morte è dunque quella d'assenza.
È facile osservando un neonato notare che scoppia in un pianto ininterrotto se vede scomparire la madre in un'altra stanza, proprio perchè il bimbo non sa che ella ritornerà. Invece subito dopo i primi mesi di vita è preponderante il giochino del nascondiglio degli oggetti dal proprio campo visivo, proprio perché è stata acquisita la cognizione che gli oggetti scompaiono e ricompaiono. Attraverso tale gioco il bambino esperisce nel tempo nuove conoscenze sulla fenomenologia degli oggetti.

II° Tappa: Assenza/Presenza
Gradualmente quindi il bambino scopre che se la madre sparisce è vero che torna. Questa nuova conoscenza aiuta l'essere umano a sperimentare i primi tentativi di controllo dell'angoscia!
Un bambino potrebbe reagire nascondendosi dietro un armadio per non vedere, oppure potrebbe mettere in atto una condotta per far sì che possa tornare la madre; potrebbe, ancora, nel pianto, trovare un utile strumento di potere e ricatto. Tutto ciò lo aiuta in genere a ridurre l'ansia.
A tal proposito bisogna sottolineare il peso di quest'esperienza ricattatoria ai fini della formazione del carattere, in quanto attraverso l'annullarsi, lo star male, si potrebbe trovare sollievo rispetto all'esperienza di morte, di separazione, assai più dolorosa. Se pensiamo a quanto suddetto, proiettato nel tempo, capiamo come si venga a determinare la base per un tratto di carattere patologico, dove gli impulsi ostili sono rivolti verso il sé o dove esiste una forte ansia di tratto.

III° Tappa: Presenza di angosce e paure
Si può affermare che se il primo concetto di morte sia di tipo reversibile: la morte interrompe le funzioni vitali, le sospende, tra i due e i quattro anni avviene una prima modifica di quanto esperito nelle precedente fasi suddette. Il bambino inizia ad avere paura di star male o di stare al buio. L'idea di morte si potrebbe evocare non solo in seguito a determinate circostanze ma anche ad eventi angoscianti di rabbia o di dolore.
Questo è dovuto ad una nuova e più complessa percezione dell’ambiente.
In particolare, dopo i tre anni, seppur continuando a rappresentare un’idea reversibile si associa a quella di violenza.
Nello psichismo di un bambino notiamo che le persone significative affettivamente diventano oggetto di aggressione più o meno frequente. Pensiamo a quante volte nei cartoni, il piccolo protagonista sia oggetto di persecuzione di robot o streghe malefiche o di situazioni in cui ha paura per la propria incolumità. In questa fase il concetto di morte è dissociato da un quid che riguarda tutto l'universo conoscitivo e quello reale. Le ragioni della cessazione della vita sono magiche e assai misteriose. Si giunge così fino ai nove anni quando l'idea di morte subisce un profondo cambiamento.

IV° Tappa: l'irreversibilità
Da evento transitorio vissuto come ricattatorio, diventa definitivo, universale e irreversibile. La morte diventa espressione della cessazione biologica, definitiva della vita, non è legata a sé.
Ricordiamo Piaget3, a partire dai sette anni, il bambino sviluppa la capacità operazionale concreta, nel corso dello sviluppo cognitivo.
Facendo delle considerazioni, in genere possiamo notare che la lentezza con cui si costruisce l'idea di morte nel bambino potrebbe essere la causa per cui le condotte suicidarie siano più frequenti in adolescenza piuttosto che nell'infanzia4. I contenuti della memoria e il modo in cui vengono impiegati non è affatto secondario alla costruzione delle cognizioni.
Esiste un diverso sistema operativo di memoria5 negli individui.

La memoria semantica è quella grazie alla quale si incamerano informazioni codificate slegate dal contesto.
La memoria procedurale è la generalizzazione di schemi agiti di comportamento per cui anche un neonato può aspettarsi certe condotte, quella episodica invece consiste quasi in una memoria autobiografica da utilizzare come una bussola per attribuire valore alle esperienze in cui un bimbo s'imbatte al fine di favorire uno stile d'attaccamento.
Per esempio un bambino impara che ogni volta che sta male, la mamma s'impietosisce verso di lui, e così anziché sviluppare difese sicure, adeguate, mette in campo comportamenti autodistruttivi che non lo aiutano a creare sicurezza nel suo mondo interiore.

In conclusione potrebbe essere interessante riportare quanto emerge dai dati dei Presidi Ospedalieri di Primo Soccorso: spesso le lesioni dei bambini più piccoli non vengono quasi mai registrate come TS cioè tentavi di suicidio, o come modalità di comportamento che se ripetute potrebbero mettere a serio rischio la vita. La predominanza delle condotte considerate tali è invece più frequentemente femminile, e la si può riscontrare in una casistica più ampia. Si tratta ad ogni modo di situazioni spesso ambigue.
Nei dati forniti dai self-report, cioè auto valutazioni somministrate a chi accede in questo caso in un presidio ospedaliero pubblico, ci troviamo di fronte ad una "discrepanza" numerica, poiché le dichiarazioni di volontarietà sono del 2%.
Anche i genitori, probabilmente alla luce dell'età dei figli non presentano l'accadimento per quello che è, mentre il personale medico sembra non volerli considerare indicatori di rischio o patologia. Bisogna specificare che sussiste una buona evidenza che oltre il 90% di bambini e adolescenti che commettono un suicidio ha un disturbo mentale prima della loro morte.

Nella nostra cultura, come sostiene Crepet, sebbene il suicidio nei giovani sia la seconda causa di morte, sembra essere considerato un argomento tabù; non se ne parla affatto né in letteratura, né nelle scuole e così via. Fa riflettere che la prima causa, ovviamente ad eccezione delle cause legate a malattia, siano gli incidenti stradali in seguito all'assunzione di alcool o droghe.
Questo atteggiamento culturale rischia, secondo il grande psicologo Golemann, di peggiorare il fenomeno, che già secondo lui è la conseguenza di un forte disagio sociale nella società italiana.

Bibliografia
  • "Aggressività e disperazione nelle condotte suicidarie", Atti del Convegno, 4-5-6/06/98, Abano Terme
  • Andolfi M., "L'infanzia negata", Rivista di terapia familiare n. 46, 1994
  • Denham S., "Lo sviluppo emotivo nei bambini", 2001, Roma Astrolabio
  • Crepet P., "La dimensione del vuoto", Feltrinelli
  • Golemann D., "Intelligenza emotiva", Bur
Note
  1. Melaer J. D., "Children's conception of death", Journal of genetic psychology, 122-123, 360, 1973
  2. Rambault, "Il bambino e la morte", La Nuova Italia, 1978
  3. Piaget J., "The child’s concept of the world", Patterson, Littlesfield Adams, 1960
  4. Fuchs, "Le immagini della morte nella società moderna", Einaudi, 1973
  5. Vianello, "La comprensione della morte nel bambino", Giunti, 1985

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