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Intervista al dott. Colopi

Mauro Longo intervista Giorgio Colopi

Intervista pubblicata il 15 Dicembre 2015.
L'intervista "Mauro Longo intervista Giorgio Colopi" tratta di: Rabbia, Disturbi d'Ansia e Tipi di terapia.
Intervista scritta dal Dott. Giorgio Colopi.

Cosa fa uno Psicologo?

Innanzitutto diciamo che lo Psicologo è una persona laureata in Psicologia, mentre lo Psicoterapeuta ha una formazione successiva che gli consente, anche dal punto di vista legislativo, di fare terapia.

Lo Psicoterapeuta è uno Psicologo che, oltre gli studi universitari, ha frequentato una Scuola di Specializzazione di 4 anni e ha fatto un percorso personale. Per chiarirci, quella dello Psicoterapeuta è una professione d'aiuto riconosciuta in tutto il mondo, che utilizza la relazione come strumento di cura.

Nella Psicoterapia la formazione dello Psicologo, i suoi studi, i libri che ha letto, sono certamente importanti ma non quanto la relazione umana profonda che si crea con il cliente, quella fa la differenza.
Se bastasse la teoria per star meglio allora dovremmo distribuire libri di Psicologia alla popolazione come se fossero vaccini antinfluenzali e non esisterebbero attacchi di panico, depressione etc.

Perché qualcuno dovrebbe andare da uno Psicoterapeuta?

Nessuno deve andare dallo Psicologo a mio parere, tutti possono andarci se sentono di averne bisogno. Io non ho mai accettato invii del tipo "Le mando mio figlio...", semplicemente non funzionano.
Io dico spesso che molto più importante del diritto allo stare bene è il diritto a stare male senza che qualcuno venga a rompermi le scatole. Ognuno è responsabile delle proprie scelte e ha tutto il diritto di non essere aiutato se non ne ha voglia.

La Psicoterapia è una possibilità che abbiamo per prenderci cura di noi stessi se stiamo male.
A volte questo disagio assume la forma di sintomatologia precisa: tachicardia, mal di testa, fobie, depressioni etc., altre volte è meno definito, è un incapacità generalizzata ad amare e a trarre piacere dalla propria vita. Tutti noi siamo responsabili del nostro benessere e della nostra salute e abbiamo il diritto di decidere se e quando abbiamo voglia di prenderci cura di noi. Io son due mesi che rimando un controllo ai denti.

Se quello che fa uno Psicoterapeuta è soprattutto parlare perché una persona dovrebbe venire da te invece di parlare con un amico?

Anche lì c'è la relazione. Perché il rapporto terapeutico è particolarissimo e, per quanto mi riguarda, insostituibile nelle sue caratteristiche. Innanzitutto lo Psicoterapeuta è un professionista che ha studiato almeno 10 anni prima di iniziare a fare il suo lavoro, accompagnando la formazione teorica all'esperienza personale. Questo fa la differenza rispetto a tanti pseudo Professionisti della relazione d'aiuto.

Il Terapeuta è tenuto al segreto professionale, non giudica, non aspetta che tu abbia finito di parlare per iniziare a inondarti con i suoi problemi. Vedi, l'amicizia è una cosa meravigliosa, ma come tutti i rapporti umani si basa sullo scambio: oggi io ti offro l'aperitivo, domani lo offri tu a me, io ascolto i tuoi problemi, tu mi accompagni alla stazione, io ci sarò per te come tu ci sei stato per me.

Perché il rapporto terapeutico non si basa sullo scambio?

Certamente sì, come tutti i rapporti umani, solo che in questa circostanza cosa viene scambiato viene dichiarato e pattuito all'inizio, e sono i soldi. Fare lo Psicoterapeuta è una professione, non è volontariato.

Perché lo Psicoterapeuta non giudica?
Non dovrebbe dire secondo lui quali sono gli atteggiamenti sbagliati del cliente?

Il giudizio è il meccanismo attraverso cui la società preserva se stessa spingendo alla normalizzazione. Ogni gruppo o comunità sopravvive grazie alle regole che si dà, che siano dichiarate o implicite, e parallelamente scoraggia o punisce qualsiasi comportamento difforme.

A uno Psicoterapeuta non dovrebbe fregare niente della normalità.
È il più grande pregiudizio con cui mi confronto nel mio lavoro.
Anche nel parlare comune si dice: «Tu non sei normale, fatti vedere da uno Psicologo», come se lo Psicologo servisse a far diventare le persone normali. Per quanto mi riguarda è esattamente l'opposto, io mi dico che la mia professione consiste spesso nell'accompagnare qualcuno a scoprire la propria diversità, che è anche la sua unicità, e a trarne piacere.

Diceva Paolo Cohelo che «C'è una via di mezzo tra la normalità e la pazzia: essere diversi ed accettarsi», questa frase la cito spesso perché mi piace molto. Insomma viene detta da uno che è uno scrittore di fama internazionale e che ha passato una parte della sua vita ricoverato in una struttura psichiatrica.
A me non me ne frega niente se uno cammina per strada in mutande, parla con le aiuole o si dipinge le unghie con la vernice fosforescente, se per lui va bene così, se è felice, va bene anche per me. Io non sono un giudice né un poliziotto che deve salvaguardare il decoro e l'integrità morale.

Io faccio lo Psicoterapeuta e mi occupo del benessere delle persone. Altre volte viene in Studio la ragazzina di 15 anni, famiglia benestante, ottimi voti a scuola, tanti amici, dei genitori premurosi e che soffre da 3 mesi di Attacchi di Panico, sta male e non sa perché.
Ecco, lì invece il mio lavoro ha senso.

Voglio raccontare un aneddoto: io sino al quinto superiore ero sicuro che avrei preso Ingegneria informatica all'Università e che sarei diventato Ingegnere, perché avevo la passione per i computer, poi lessi un libro di Eric Fromm e decisi che sarei diventato uno Psicologo.
Quel libro si intitolava "La patologia della normalità".

Quindi da uno Psicoterapeuta uno in teoria potrebbe anche fare delle cose che non sono considerate normali?

Ma mica solo in teoria, anche in pratica.
Faccio un esempio: mettersi a gridare è considerato sbagliato, è una cosa da non fare. Se uno si mette a gridare per strada si dice che è pazzo.

Da me si può gridare tranquillamente, si può piangere, si possono dire le parolacce, si possono tirare pugni.
Ho usato l'esempio del grido perché una frase che mi sento dire spesso è «Mi verrebbe voglia di urlare». Altrettanto frequentemente capita che una persona desideri farlo e non ci riesca.

E perché non ci riesce?

Eh, e qui la risposta potrebbe essere lunga e complessa.
Diciamo, sintetizzando, che probabilmente non ci riesce perché non è abituata a farlo.

Quindi da uno Psicologo si va per sfogarsi?

Non è facile spiegare in maniera generalizzata in cosa consista l'intervento di uno Psicoterapeuta. A volte la parte principale è una ristrutturazione cognitiva, un cambiamento di schema mentale, ovvero il modo in cui quella persona si sta rappresento il problema e la sua soluzione.
Faccio un esempio, immaginiamo un cliente che ci porti come problema degli attacchi d'ira usando parole come: «Ci sono momenti in cui non riesco a mantenere il controllo e parto».

Apparentemente il problema sono le esplosioni di rabbia, c'è quello in primo piano, ma se facciamo attenzione allo sfondo scopriamo una persona perennemente occupata a mantenere sotto controllo le proprie emozioni e in particolare la propria rabbia.
Allora questa persona immaginaria, che magari si aspetta da noi delle tecniche di rilassamento, intuendo che il problema è esattamente l'opposto di ciò che lei crede, potrebbe sentirsi libera di proseguire il discorso dicendo: «Effettivamente io accumulo, accumulo e poi esplodo».

Il problema da risolvere è completamente opposto: non si tratta di imparare a controllare la rabbia ma imparare a controllarla meno, darle più spazio, per non farla poi esplodere.

Quindi questa persona dovrebbe arrabbiarsi più spesso?

Sì e no. Non è tanto importante "il cosa" ma è "il perché" e "il come".
La tua domanda rispecchia la dicotomia dello schema del nostro cliente immaginario all'interno della quale sono possibili due sole soluzioni: controllare la rabbia o perdere il controllo. Ma la vita non è bianco o nero, ci sono "50 sfumature di grigio".

Bisogna lavorare sulla flessibilità posturale (che è anche mentale) di questa persona, capire da dove nasce tutta questa rabbia, da quali esperienze, soprattutto con chi sono tanto arrabbiato e perché, per quali ragioni non mi posso permettere di agire la rabbia, cosa è successo in passato quando l'ho fatto, e infine cosa posso fare di diverso rispetto alla mia modalità abituale che è il controllo. Per quanto mi riguarda l'aspetto psicologico, relazionale è fondamentale.

Pensare di risolvere una rabbia cronica prendendo a pungi un sacco di sabbia è riduttivo, non funziona perché si esclude dall'esperienza corporea l'aspetto psicologico legato alle rappresentazioni.
Mi viene il dubbio che stia iniziando a diventare troppo astratto e credo che per comprendere appieno ciò di cui sto parlando bisognerebbe farne esperienza. Comunque possiamo fare che - quando non si capisce completamente quello che sto dicendo - tu mi tocchi con la punta della penna, così io... riformulo. E abbastanza chiaro...

A uno Psicoterapeuta non interessa il movimento, interessa il gesto.

Perché che differenza c'è?

La stessa che c'è tra correre e scappare.

È l'intenzione che fa la differenza.

Come si fa a capire se si sta andando nel verso giusto?

Nel mio modo di lavorare, lo decide il cliente, mi sembra la persona più indicata a valutare. Una volta una persona che veniva da me mi disse che non stava trovando alcun giovamento dalla Psicoterapia, che la considerava inutile. Le chiesi come mai continuava a venire allora e lei mi rispose che lo faceva per non darmi un dispiacere.

La rassicurai sul fatto che non mi avrebbe dato un dispiacere considerato il fatto che il nostro era un rapporto professionale e non un rapporto di amicizia, che avrebbe potuto serenamente interrompere se lo riteneva opportuno e che io comunque sarei rimasto a sua disposizione.
Mi disse "grazie" sorridendo e se ne andò, credo che per lei sia stato un momento importante.

Come si può lavorare sull'ansia?
Se venisse una persona con l'ansia tu avresti una cura per lui-lei?

Non so conosco il rimedio universale per l'ansia, a patto che esista.
Se una persona venisse da me dicendo solo questo: «Ho l'ansia, trovami un rimedio» non saprei cosa fare.

E allora?

Il punto centrale è capire che noi siamo come siamo non perché è scritto nel DNA o perché è così e basta, ma perché abbiamo una storia, la nostra vita è importante e unica.

L'ansia è un sintomo dietro al quale c'è un accaduto, ci sono delle relazioni, dei fatti. C'è sempre un nesso tra la mia storia e quello che sono, anche quando sembrerebbe di no, anche quando il sintomo sembrerebbe campato in aria all'interno di una vita "normale", tra virgolette.

Il mio lavoro consiste nel ripercorrere questa storia insieme alla persona che chiede il mio aiuto e capire cosa è successo che ha innescato il malessere e poi la comparsa dei sintomi, come l'ansia, cercare i nessi.

Mi puoi fare un esempio?

Ogni volta che faccio degli esempi ho un po' paura di banalizzare, ma mi rendo conto che è importante farne per tentare di far comprendere il senso del mio discorso. Faccio un esempio inventato, ispirato a fatti realmente accaduti. Molti anni fa venne nel mio Studio un Signore che aveva una grave malattia che lo costringeva a letto per molti giorni al mese.
Da qualche tempo era comparsa una forma d'ansia e chiese il mio aiuto.

In quel caso si scoprì, o meglio scoprimmo insieme, che quest'ansia era dovuta alle continue attenzioni e premure della moglie che, con molta devozione, si prendeva cura di lui mentre era a letto.

Ogni volta che questo signore provava ad allontanare la moglie dicendo che «non doveva preoccuparsi così tanto per lui» lei rispondeva che «non si doveva impensierire per lei, che era il suo dovere e che doveva pensare solo a rimettersi in forma». Il Signore capì che le continue attenzioni della moglie lo opprimevano ma non aveva il coraggio di allontanarla, primo perché non voleva darle un ingiusto dispiacere e secondo perché aveva bisogno di lei e aveva paura inconsciamente che lo abbandonasse.

Quindi una volta capito questo scompare l'ansia?

No, l'analisi e la ristrutturazione cognitiva per quanto mi riguarda è solo una parte della Psicoterapia.
Non basta capire per risolvere un problema, non basta capire che ho un taglio sul braccio da cui sta uscendo sangue per curare la ferita, devo farci qualcosa, metterci un cerotto o qualcosa del genere.

Lo stesso è in Psicoterapia: prima capire, poi fare.
Io credo che alcune Psicoterapie falliscano proprio perché le persone non hanno chiaro questo passaggio, cioè hanno come la fantasia che lo Psicoterapeuta sia un mago che può magicamente far scomparire i propri disagi.
Dobbiamo intenderci bene invece: io sono qui, in ultima istanza, per capire insieme a te cosa tu potresti cambiare della tua vita per stare meglio, come potresti aiutarti da solo.

Non voglio darti un pesce, voglio insegnarti a pescare.
È folle pensare che continuando a essere perfettamente nello stesso modo, facendo esattamente le stesse scelte, non cambiando nulla della propria vita cambi il modo in cui ci sentiamo.

Il mio approccio insiste molto sulla responsabilità personale e questo è fondamentale per scongiurare dinamiche di dipendenza. Considera che il più delle volte si giunge in Psicoterapia in una condizione di stallo: io sto male e non so né perché, né cosa mai potrei fare per star meglio.

Ecco il lavoro consiste nel trasformare quest'impasse in una scelta possibile.

Nel caso precedente qual è stato il cambiamento messo in atto?

Sintetizzando il passare da «non preoccuparti per me» a «ho bisogno di stare un po' da solo», assumendosi la responsabilità dei propri desideri, del proprio spazio personale e difendendolo con assertività.
In questo caso, tra l'altro, è bastato un incontro e questa persona ancora mi ringrazia quando mi intravede.

Questo per smontare un altro falso mito, ovvero che le Psicoterapie sono per forza lunghe.

Questo ha fatto scomparire l'ansia?

. La ristrutturazione cognitiva e poi la riformulazione della frase ha liberato il gesto bloccato.

In che senso il gesto bloccato?

Tutto ciò di cui abbiamo parlato è corporeo, tutto il mentale è corporeo.
Il mio professore Vezio Ruggieri, il mio riferimento principale, dice: «il corpo sta alla mente come il pianoforte alla musica».
Non c'è musica senza pianoforte.

Le emozioni, ad esempio, non sono qualcosa che avviene solo nel cervello, ma coinvolgono il corpo nel suo insieme, sono il corpo, e in questo processo i muscoli hanno un ruolo fondamentale, i muscoli sono l'organo del sentire emozionale. Su questo ci sarebbe da parlare a lungo...

Cosa ne pensi degli psicofarmaci?

Non voglio ragionare in termini assoluti ma credo che se ne faccia un abuso e che siano poco comuni i casi in cui ci sia una reale soluzione del problema. Le ricerche dicono che il Italia ansiolitici e antidepressivi rappresentano una delle principali voci di spesa della sanità pubblica, per la mia esperienza c'è un uso capillare di psicofarmaci.

Parallelamente a questo manca la cultura della Psicoterapia, anche tra i Medici: se una persona manifesta sintomi di carattere psicologico, è raro che le venga consigliato di consultare uno Psicoterapeuta, per lo più si fa ricorso ai farmaci. Continuiamo a comportarci come se l'ansia, per fare un esempio, fosse esclusivamente un fenomeno chimico, quando invece è comune l'esperienza che l'ansia è un fatto relazionale.

Quante volte ci capita di dire «quella persona mi mette ansia» oppure «mi stai facendo venire l'ansia». Cioè si tenta di curare dal punto di vista chimico un problema che è di un ordine di complessità superiore, che nasce dalle nostre esperienze di vita, dalle sofferenze che ci hanno strutturati.
È come se io avessi un problema col sistema operativo lento del mio computer e mi rivolgessi a un elettricista.

Quanto dura una Psicoterapia?

Non lo so, quanto decide il cliente.
Lo Psicoterapeuta ha molto meno potere di quel che si immagina e il suo ruolo può essere frustrante.

Io ho a che fare con persone che mollano proprio nel momento in cui a me sembra che stia accadendo un cambiamento importante, e poi magari si ripresentano dopo 2 anni. Persone che chiedono un appuntamento urgente, urgentissimo, e poi non si presentano al primo incontro, chi ti scrive mail chilometriche senza essersi mai presentato di persona.

A fianco a queste esperienze ce ne sono molte altre positive che mi riempiono dell'entusiasmo necessario per continuare a fare il mio lavoro e per amarlo.

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