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Intervista alla dott.ssa Ricci: relazioni e Schema Therapy

Intervista alla Dottoressa Roberta Ricci: difficoltà relazionali e Schema Therapy

Intervista pubblicata il 23 Dicembre 2016.
L'intervista "Intervista alla Dottoressa Roberta Ricci: difficoltà relazionali e Schema Therapy" tratta di: Relazioni e Amore e Vita di Coppia.
Intervista scritta dalla Dott.ssa Roberta Ricci.

La Redazione di Psicocitta ha incontrato la Dott.ssa Roberta Ricci, Psicologo Psicoterapeuta con formazione Sistemico Relazionale e in Schema Therapy. Grazie alle competenze cliniche apprese nel corso di anni di pratica professionale, ci aiuterà a comprendere cosa c'è alle base delle difficoltà relazionali e come poterle migliorare e risolvere.

1 Dottoressa, vi è un'area di disagio per cui le persone si rivolgono a lei con maggior frequenza?

Le persone che vengono da me sono persone che scelgono di intraprendere un percorso per imparare a stare meglio, per capire cosa le porta a ripetere gli stessi comportamenti anche se questi non portano agli obiettivi sperati. Spesso sono persone che vivono un momento di difficoltà in una relazione di coppia o in famiglia, quindi con i figli o con i genitori, o anche sul lavoro. È proprio nelle relazioni interpersonali che, infatti, è più facile percepire e vivere le nostre difficoltà o trappole.
Mi dicono spesso che hanno come la sensazione che la loro vita si ripeta come in un copione già letto. Cambiano le persone intorno ma loro si trovano a rivivere sempre situazioni simili come nel film “Il giorno della marmotta”.
Questo disagio poi si esprime in quelli che comunemente vengono chiamati sintomi come ad esempio ansia, attacchi di panico, problemi alimentari o paure.
Mi trovo spesso a lavorare anche con persone che hanno subito traumi o lutti pesanti e che faticano ad elaborare queste situazioni di così profondo stress.

2 Il senso comune vorrebbe che se abbiamo compreso che in un certo tipo di relazione non stiamo bene, dovremmo imparare a non ricaderci. Ma cosa rende così difficile imparare dai propri errori e correggersi?

Jeffrey Young (padre della Schema Therapy) crea il neologismo di “lifetraps”, che in italiano è traducibile con il termine trappole di vita. Con queste parole si intende una situazione nella quale la vitalità di alcune persone è bloccata all’interno di modi di pensare, vivere, agire, sentire e relazionarsi con se stessi e con gli altri. Queste modalità rigide di solito si sono formate nell’infanzia e si sono rinforzate nel corso del tempo fino a diventare delle vere e proprie trappole che ci impediscono di agire in modo più costruttivo. In altre parole quello che accade è che ci ritroviamo da adulti a ricreare, inconsciamente, le situazioni che durante l’infanzia ci hanno fatto stare più male.

Perché non riusciamo ad uscirne?
Fondamentalmente perché le trappole sono il modo in cui siamo abituati a leggere le situazioni, sono il modo di vivere che conosciamo meglio, sono “abitudini” familiari e rassicuranti. Ecco perché è così difficile cambiare. Nonostante le trappole danneggino sia il senso di sé sia le relazioni con gli altri esse lottano per rimanere in vita, questo per un impulso umano e atavico alla coerenza: è più facile rimanere in un dolore che conosciamo piuttosto che imbarcarci in un cambiamento che provoca momentanea instabilità. Spesso dopo qualche tempo che lavoro con una persona mi sento dire frasi del tipo “riesco a dire/fare cose che prima non avrei mai detto o fatto” , “mi sento nuovo”.

3 Quale è il suo modo di lavorare per aiutare le persone a risolvere le difficoltà?

Ciò che ci si prefigge di fare durante la terapia è identificare quali schemi si attivano più frequentemente nella persona e quali sono le modalità di comportamento che mette in atto, esplorandone le origini, l’utilità (punti di forza e debolezza) e come sono connesse con i problemi attuali.
Gli schemi nascondono bisogni infantili non soddisfatti, per cui la cosa importante è capire quale bisogno sottende lo schema e insegnare alla persona a percepire il proprio bisogno e a dare ad esso una risposta corretta e soddisfacente.
Una volta identificate queste cose si lavora per prendere le distanze (da ciò che è disadattivo e non funzionale) e nel contempo si rafforza ciò che c’è di positivo e funzionale.

4 Può farci alcuni esempi di questi schemi maladattivi in ambiti relazionali?

Tutti gli schemi o trappole sono relazionali, nel senso che è proprio nelle relazioni interpersonali che queste difficoltà si manifestano.
Prendiamo ad esempio lo schema di autosacrificio. La persona intrappolata in questo schema probabilmente avrà la tendenza a mettere da parte i propri desideri e bisogni pensando che l’unico modo per farsi voler bene dagli altri sia accontentarli in tutto.
Le trappole funzionano un po' come delle calamite. Ad esempio una donna con un profilo come questo tenderà potenzialmente a cercare un uomo un po' egocentrico, molto richiedente, con la tendenza a farsi servire e riverire. Sul lavoro probabilmente sarà quella che viene cercata per fare il caffè, le fotocopie e tutti quei lavori che nessuno vuole fare per via della sua incapacità a dire no. Nelle amicizie sarà quella che si sacrifica sempre per tutti. Lo schema si esprimerà quindi in ogni situazione relazionale e persisterà nel tempo trovando un suo equilibrio, fino a che qualcosa non farà percepire alla persona che così non funziona.
Ecco quindi che lo schema agisce nelle diverse situazioni portando sempre alla stessa conclusione: la persona intrappolata è infelice, poco realizzata, incapace di fare ciò che la fa stare bene.

5 In che modo una persona può comprendere di essere “intrappolata” nei propri schemi e che è arrivato il momento di rivolgersi ad uno psicoterapeuta per lavorare sulla propria sofferenza?

Ognuno di noi ovviamente ha il suo modo di percepire gli altri, le situazioni e se stessi, se parliamo in generale la sensazione ricorrente è quella di trovarsi spesso nelle stesse situazioni o in relazione con persone simili tra loro. Un po' come se fossimo dei criceti su una ruota che gira. Magari siamo alla terza convivenza e ci ritroviamo ad avere screzi sulle stesse identiche cose anche se il compagno o la compagna sono diversi.
In altri casi si potrebbe avere la sensazione di essere sempre circondati da persone simili tra loro magari fredde o anaffettive, oppure ci si sente sempre sbagliati, non degni di essere amati, non capiti veramente, e temere di rimanere per sempre soli.
Sul lavoro potremmo non essere mai soddisfatti del nostro operato, tendiamo al perfezionismo eppure non siamo mai contenti di noi e la nostra vita procede per obiettivi, siamo talmente presi dalle cose da fare che non abbiamo tempo per riposare, stare con gli altri e la famiglia.
Ecco questi sono esempi di situazioni nelle quali potremmo essere intrappolati.
Il momento giusto per rivolgersi ad un terapeuta è quando sentiamo che non stiamo più bene con noi stessi, che non siamo soddisfatti di ciò che viviamo... insomma quando ci accorgiamo di non essere felici.

6 Dottoressa, in conclusione, vuole raccontarci in breve una situazione che ricorda come particolarmente soddisfacente per il paziente e per lei?

Mi viene subito alla mente la storia di una ragazza di 35 anni. Venne da me dopo l’ennesima storia d’amore finita male. Analizzando la sua storia di vita siamo arrivate ad identificare alcune sue trappole di vita come ad esempio la sfiducia (che possiamo semplificare e spiegare come la sensazione che non ci si può fidare degli altri, soprattutto delle persone a noi più vicine) e la deprivazione emotiva (l’idea che nessuno ci ami abbastanza e che tenga abbastanza a noi). Queste due trappole rendevano le sue relazioni amorose molto difficili e complicate, lei era sempre sull’attenti, pronta a leggere ogni piccola dimenticanza del proprio compagno come una prova dei suoi tradimenti o del fatto che lei non fosse importante. Questo la rendeva sospettosa, sempre insoddisfatta, polemica e spesso molto arrabbiata. Avendo compreso le trappole e i comportamenti che queste la portavano a mettere in atto abbiamo potuto sviluppare una parte più adattiva. Questo le ha permesso di sentirsi al sicuro, degna di amore, capace di vedere i gesti amorevoli del compagno e al contempo a vedere le eventuali mancanze non come gesti di noncuranza verso di lei ma come suoi atteggiamenti.
Ora è felice, ha trovato un compagno con cui sta bene. Ci sono ancora momenti di difficoltà ma lei ora riesce a viverli in maniera meno dolorosa, come momenti di crescita.

In una società basata sui risultati, sulle performance, sul tutto subito, chi va dallo psicologo è stigmatizzato come il debole, colui che non ha la forza di uscirne da solo.
In realtà chi si permette di chiedere aiuto in un momento di difficoltà è una persona di estremo coraggio, auto consapevolezza e forza.

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