Articolo pubblicato il 29 Marzo 2013.
L'articolo "Insoddisfatti al lavoro: quando siamo noi a scavarci la fossa" tratta di: Crescita personale e Assertività.
Articolo scritto dal Dott. Giuseppe Piras.
È capitato a tutti noi di vivere alcuni ambiti della propria quotidianità accompagnati da un vago senso di insoddisfazione che ci attanaglia, senza farsi scoprire, al punto di farci esclamare: «Non so proprio cosa mi stia accadendo!». Al lavoro coi colleghi o con il capo, in amore con il proprio partner, con gli amici tra un weekend e un altro, a casa con i propri cari, in giro per negozi, sono solo alcuni dei momenti in cui il sentore, l'insoddisfazione, si palesa.
Nei contesti sopra elencati, abbiamo la sensazione di essere in balia degli altri oppure che la gente intorno a noi scappi non appena possibile o che stia con noi ma con disagio. In alcune circostanze ci sembra di recitare la parte degli agnelli in mezzo ad un branco di lupi o esattamente il contrario! Altre volte, ci sembra di possedere entrambe le maschere per cui ci sentiamo oltremodo confusi, in colpa, stupiti. Quel che è certo è che, in conseguenza delle maschere indossate, ne segue un sentimento di strisciante disagio.
Ruoli e gerarchie. Il mondo del lavoro, specie quello in ufficio, quello dello stretto contatto per ore e ore con i colleghi, è un mondo particolarmente complesso che richiede delle abilità relazionali altrettanto articolate.
Gerarchie esplicitate dalle mansioni che si incrociano con quelle stabilite dall'esperienza sul campo, senza dimenticare quelle implicitamente determinate dall'appoggio del potente di turno che rende la posizione di un collega, spigolosa e ingombrante. Inutile nascondersi, quest'ultima, in certi contesti lavorativi è molto più che implicita.
Le differenze di età, sesso, esperienza rappresentano altri elementi che vanno a delineare la cornice di riferimento all'interno della quale si muovono i fili delle dinamiche relazionali.
L'ultimo arrivato, il primo arrivato, il laureato, il tecnico, quello tutto titoli accademici e zero praticità, quello tutta praticità ma nessun pezzo di carta, il raccomandato, lo zerbino, il rompiscatole, il pignolo... sono alcune delle etichette che aleggiano nella medesima cornice.
Dentro a questa cornice di riferimento si muove il nostro comportamento.
Quando ci sentiamo parte vulnerabile è possibile che le nostre scelte vengano ad essere condizionate. Iniziamo cioè a modulare le nostre azioni in base alla cornice che le definisce. Col capo ci sentiremo intimoriti, col laureato pure, con il raccomandato dovremo stare in guardia per non incappare in spiacevoli conseguenze, con lo zerbino potremo prenderci qualche rivincita, idem con l'ultimo arrivato o lo stagista.
Prevarrà dunque la veste da lupo o quella da agnello.
Supponiamo di indossare prevalentemente un manto di morbida lana bianca: sempre gentili, sempre disponibili, estenuanti mediatori, infaticabili esecutori di richieste di ogni tipo, pronti a sacrificare il proprio tempo libero, la propria pausa pranzo, a rinunciare a parte delle proprie ferie o spostarle per venire incontro alle necessità altrui.
Tale mantello ci renderà docili e amabili agli occhi degli altri, ma peserà come un macigno sul nostro benessere quando diverrà l'unica veste che portiamo con noi. Inizialmente tale veste sembra premiante poiché la gente intorno a noi nota la nostra moderazione, pazienza, disponibilità.
Questo ci rassicura rispetto all'evenienza che si possano manifestare contrasti, incomprensioni, con conseguenti perdite di controllo ("Potrei impazzire, potrei fare o dire cose gravi") o compromissioni relazionali ("Penseranno che sono un rompiscatole, nessuno vorrà frequentarmi"), lavorative ("Mi licenzieranno, mi faranno un richiamo ufficiale, mi declasseranno, mi faranno mobbing").
Delle volte ci fa credere che sia una strategia valida per ottenere ciò che desideriamo ("In questo modo mi creerò un ruolo di fiducia nel team, consoliderò la mia posizione e potrò farmi valere").
Di fatto, la veste lanina va bene per l'inverno ma non per l'estate.
Conseguenze di una modalità relazionale rigida
Una modalità relazionale, quando rigida e poco attenta alle mutazioni ambientali, stride e arreca disagio.
Il nostro corpo ce lo segnalerà sotto forma di ansia, insoddisfazione, rabbia.
La rigidità del mantello indossato cristallizzerà le relazioni, le aspettative altrui su di noi. Autorizzerà gli altri a credere che su di noi si possa contare sempre, vista la nostra disponibilità, visti i nostri sorrisi, visto il fatto che non obiettiamo mai.
Il rischio è che il vaso si riempia e tracimi con violenza specie laddove ci sentiamo di allentare l'auto-controllo: "Sul lavoro mi gestisco benissimo ma a casa mi trasformo. A casa sono capace di dire cose che ne basterebbe un quinto per essere già offensivi". "Al lavoro ciò non accade eppure le condizioni per farlo ci sarebbero". Ce la prendiamo insomma con chi sentiamo possa sopportare queste sfuriate, con chi crediamo che resterà con noi nonostante esse. Si tratta di un processo di omeostasi (tendenza naturale alla stabilità interna) per cui dobbiamo riequilibrare le tensioni accumulatesi sfogandole in qualche modo.
Il rischio è che, come a lavoro, anche qui le relazioni si cristallizzino su equilibri in cui questa volta recitiamo noi la parte del lupo.
A proposito di lupi, possiamo tranquillamente fare il ragionamento inverso per chi nel proprio ambiente di lavoro è spesso aggressivo. Anche in questo caso, abbiamo vantaggi nel breve termine e svantaggi sul lungo periodo. Una persona con simili modalità relazionali nota di possedere un certo potere persuasivo per cui ogni sua richiesta genera attenzione e ubbidienza solerti.
Questo meccanismo è appagante, restituendo un sentimento di auto-efficacia a chi lo agisce. Consente di tutelarci dal rischio di non raggiungere i nostri traguardi: "Se sono in un ruolo dirigenziale otterrò che i miei sottoposti si attivino rispetto alle mansioni richieste. Sarà più probabile raggiungere i traguardi fissati, soddisfare le richieste dei miei capi, scongiurare conseguenze spiacevoli sul piano strettamente professionale".
Il silenzio quando prendiamo parola, l'attenzione fissata sulle nostre parole, celerità nel tentare di soddisfare le nostre richieste anche quelle più scomode, attività interrotte al nostro ingresso.
Il problema è che fuori dall'ufficio, appese le vesti del lavoratore, tutti si dileguano con la medesima rapidità con cui prima si palesavano. Altri si cimentano nel sabotare le nostre richieste. Non appena il nostro controllo si allenta si sfalda tutto.
Cosa fare di fronte all'insoddisfazione. Una sensazione di insoddisfazione comincia ad accompagnarci senza svelarsi.
Cosa fare dunque quando le pelli di lupo o agnello ci risultano scomode?
Buon senso suggerisce che probabilmente bisognerà riequilibrare i momenti e le giornate in cui indossare tali vesti. In fondo, quando cuciniamo la pasta è la giusta quantità di sale che la rende gustosa.
Gli eccessi o i difetti la stravolgono.
La persona con vesti di agnello, molto accorta ai propri doveri e poco ai propri diritti, dovrà cimentarsi nel riconoscimento e nell'esercizio di questi ultimi, imparando a contenere le ingerenze altrui.
Il lupo dovrà esercitarsi sul medesimo terreno con un occhio di riguardo anche ai propri doveri, fermo restando la necessità di far valere i propri diritti in maniera rispettosa dell'interlocutore.
Come faremo a capire se staremo andando nella giusta direzione?
Le nostre emozioni ce lo comunicheranno.
Magari, inizialmente, avvertiremo disagio per la poca confidenza con modalità relazionali poco consone, quasi innaturali.
In ogni caso la lungimiranza paga sempre.
Assertività. L'importante è non scambiare l'assertività (la capacità di auto-affermarsi) per un gioco di persuasione e dominio. Non si tratta infatti di voler convincere gli altri delle nostre ragioni quanto piuttosto di liberare noi stessi dal macigno emotivo che ci attanaglia e lavorare di prevenzione affinché le nuove relazioni non si instaurino sulle vecchie premesse.
Le vecchie relazioni probabilmente subiranno dei notevoli scossoni e in questo non aspettiamoci tappeti di rose per l'avvenuto cambiamento.
In questi casi ci sarà da chiedersi se e quanto peso tali relazioni debbano continuare a meritarsi.
Altre volte è più funzionale mantenere dei copioni all'apparenza poco assertivi. Gerarchie cristallizzate, giochi di potere particolarmente ambigui non lasciano troppo spazio a cambiamenti di stile.
A quel punto si potrà anche optare per una scelta non-assertiva che in fondo tale non sarà, poiché scelta e non subita.
Essere assertivi delle volte significa scegliere di sposare un copione dimesso in virtù della lettura che diamo al contesto relazionale che abbiamo intorno. In breve, fare l'assertivo con un rapinatore probabilmente non sarebbe la scelta migliore e più funzionale.
In definitiva, bisogna conservare o allenare la capacità di lettura dei contesti: se anche certe relazioni ormai incancrenite resteranno poco produttive, l'impiego crescente di modalità assertive può restituirci benessere e autostima maggiori.
Possiamo anche ristrutturare la nostra convinzione negativa sul conflitto, imparando a viverlo come momento di confronto, negoziazione e/o crescita relazionale. Al più avremo prova della qualità di quella relazione: se essa supererà il conflitto ne uscirà senz'altro accresciuta se no avremo imparato qualcosa di più su ciò che desideriamo o meno da essa.