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Articolo di psicologia: «Ansia, attacchi di panico: considerazioni»

Ansia e attacchi di panico: alcune considerazioni

Articolo pubblicato il 14 Aprile 2014.
L'articolo "Ansia e attacchi di panico: alcune considerazioni" tratta di: Disturbi d'Ansia e Attacchi di Panico.
Articolo scritto dal Dott. Alessandro Monno.

L'ansia, insieme alla depressione, è probabilmente il disturbo attualmente più diffuso nella popolazione del mondo occidentale.
Ma è sempre lecito parlare di disturbo?

Quella che chiamiamo ansia è in realtà quell'insieme di reazioni fisiologiche, emotive, cognitive e comportamentali che sono una potente componente adattiva dell'organismo all'ambiente esterno.
Nel momento in cui percepiamo un pericolo (componente cognitiva: valutiamo la presenza di una minaccia imminente), proviamo paura (componente emotiva), il sistema simpatico si attiva (componente fisiologica) e prepara il corpo alla modalità di attacco e fuga: un meccanismo difensivo sviluppato in ogni specie animale.
Aumenta così l'afflusso di sangue ai muscoli, il cuore inizia a battere più forte e più veloce, le vene si contraggono ed aumenta la pressione sanguigna, i bronchi si dilatano ed aumenta anche l'ossigenazione, contemporaneamente viene rallentata la digestione, gli sfinteri si contraggono (componente fisiologica o somatica), il corpo ora è pronto a colpire o a scappare (componente comportamentale).

Ma chi soffre di disturbi d'ansia - nella cui categoria entrano: ansia generalizzata, attacchi di panico, disturbo post-traumatico da stress, fobie, disturbo ossessivo-compulsivo - racconta in modo del tutto diverso le trasformazioni corporee e le sensazioni che sperimenta.
Tutte le caratteristiche tipiche dell'attivazione simpatica diventano sintomi fastidiosi che impediscono una conduzione "normale" della propria vita.
Il disturbo d'ansia è l'attivazione della modalità attacco e fuga in mancanza di un reale pericolo.

L'ansia spesso non ha origine nella situazione presente, è pertanto molto difficile, se non impossibile, riconoscere cosa provoca questa fastidiosa sensazione nella situazione che stiamo vivendo.

Non è il meccanismo dell'ansia ad essere patologico, ma lo diventa quando l'ansia supera un livello, per ogni persona diverso ed individuale, che lo rende disfunzionale e controproducente.

Attacchi di panico

Spesso chi soffre d'ansia sperimenta anche attacchi di panico, che sono il picco massimo dell'espressione dei sintomi di cui abbiamo già parlato. L'attacco di panico è un'esperienza spiacevole e terrificante dove si sperimenta una completa perdita di controllo delle proprie emozioni: si ha paura, si crede di impazzire o di star per avere un infarto.

Molte persone si recano al pronto soccorso in preda o in seguito ad un attacco di panico, ma purtroppo, talvolta i medici non sono addestrati a riconoscere le manifestazioni psicosomatiche. Così la tachicardia diviene un problema cardiaco, il respiro affannoso un problema polmonare, la sudorazione un problema endocrinologico, la digestione difficoltosa un problema gastrointerinale, la cefalea un problema neurologico ecc.

In realtà non esistono conseguenze fisiche degli attacchi di panico, per quanto molto spiacevoli, anche quando protratti nel tempo.

Il peggior danno è quello psicologico, poiché la sensazione di impotenza e di mancanza di autocontrollo che questo evento lascia, è in grado di cambiare gravemente non solo il tono dell'umore, ma lo stile di conduzione della propria vita.

Esiste, infatti, una correlazione tra ansia e depressione, ma anche tra ansia e bassa autostima, difficoltà relazionali, fobie, alcuni disturbi sessuali, alcuni disturbi intestinali ecc., non va quindi sottovalutato l'impatto che essa genera sul benessere psicofisico generale.
Non ha alcuna correlazione con l'intelligenza, ma ne ha con la performance: una forte ansia può rendere incapaci di svolgere mansioni molto semplici, facendoci sentire stupidi pur non essendolo.

Le principali teorie sull'ansia patologica la vedono causata da aspetti genetici o alterazioni fisiologiche (modello biologico), da errori di pensiero (modello cognitivo) o da conflitti interni non risolti (modello psicodinamico). Francamente non vedo il perché questi modelli debbano escludersi tra di loro.

Ritengo anzi che esista, in ogni modello preso singolarmente, il rischio di un'eccessiva semplificazione di un fenomeno psicosomatico molto complesso. Sono propenso a pensare, ad esempio, che individui che hanno una predisposizione genetica e che vivono in un particolare contesto sociale, familiare e ambientale, possano essere incapaci di far fronte in modo adeguato ai propri conflitti interni, sviluppando quindi i sintomi dell'ansia, e che in seguito, nel tentativo di gestirli, producano idee e teorie infondate su se stessi e sul mondo circostante, mettendo in atto comportamenti evitanti che alimentano maggiormente il disturbo.

Nella pratica clinica ho più volte visto persone particolarmente consapevoli su un piano cognitivo dei loro processi ansiosi e dei loro errori di pensiero, con i quali un approccio puramente cognitivo sarebbe stato infruttuoso, ma affatto consapevoli del proprio piano emotivo conflittuale, o al contrario persone capaci di grande profondità introspettiva ed onestà emotiva, con i quali ogni interpretazione psicodinamica sembrava superflua, ma bloccati in una spirale cognitiva e comportamentale che non riuscivano a vedere dalla loro prospettiva.

Inoltre, in alcuni casi, un aiuto farmacologico per stemperare dei sintomi troppi invadenti è stato fondamentale per poter iniziare un lavoro alla ricerca delle cause del problema, in altri, l’errata attribuzione di ogni miglioramento al farmaco ha alimentato una maggiore insicurezza e senso di impotenza, risultando quindi del tutto controproducente su un piano psicologico.

Nel campo della salute e del benessere mentale è, a mio parere, semplicistico e riduzionistico non prendersi cura dell'intera persona, ma solo del singolo sintomo o disturbo.
"Curare chirurgicamente" l'ansia, ossia focalizzare la terapia solo sull'abbattimento del sintomo, è un’operazione che può riuscire, ma che non tiene conto dei problemi sottacenti il disturbo e dei conflitti che lo hanno generato. Ciò nonostante capisco le ragioni di chi per mancanza di tempo, capacità introspettive e/o cognitive, motivazione, soldi ecc. decide di voler essere aiutato solo in un breve percorso focalizzato alla gestione dell’ansia, senza voler mettere in gioco altri aspetti di sé; capisco, ma preferisco una scelta che non porti ad una soluzione parziale, ma ad una crescita personale.

Ritengo che tutte le teorie di riferimento abbiano in comune un elemento: il controllo. Che l'ansia sia dovuta ad un aumento esponenziale della funzione di vigilanza che ci avverte di un pericolo imminente (controllo ambientale e fisiologico), o che sia dovuta ad un tentativo cognitivo di prevedere ogni possibile conseguenza delle proprie azioni (controllo cognitivo e comportamentale) o infine che sia dovuta al nostro tentativo inconscio di evitare alcuni sentimenti ed emozioni (controllo emotivo).

Di fatto il risultato è che l'eccessivo tentativo di controllo si traduce nella perdita di controllo, di cui gli attacchi di panico sono un evidente contrappasso.

Un primo passo per abbassare il livello di ansia è quindi accettare l'idea di non essere onnipotenti, che le cose il più delle volte non sono sotto il nostro controllo e che la flessibilità, e non la rigidità, è la nostra migliore arma di difesa e risoluzione.

Bibliografia
  • Gabbard, "Psichiatria psicodinamica", Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000
  • Freud (1925), "Inibizione, sintomo e angoscia", OSF, vol. 10
  • Ruggieri, "Mente, corpo, malattia", Il pensiero Scientifico Editore, Roma, 1995

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