Articolo pubblicato il 11 Luglio 2014.
L'articolo "Il corpo che invecchia non impedisce all'anima di vivere" tratta di: Lutto, Tipi di terapia e Psicoanalisi (Sigmund Freud).
Articolo scritto dalla Dott.ssa Teresa Guadagno.
Mai come in questo tempo credo che sia opportuno parlare di psicoterapia come "necessità" alla portata di tutti e non come "lusso".
Il noto sociologo Zygmunt Bauman ha "diagnosticato" che uno dei mali della società del XXI secolo è l'assenza di legami stabili e costanti, ma al contrario il proliferare di finti legami fungibili, sostituibili con altri velocemente, tanto da definirli "liquidi".
In questa epoca le persone si riducono alla stregua di oggetti di consumo "usa e getta": si evita il processo faticoso ma remunerativo di costruire una relazione; l'impegno e l'investimento nell'altro è poco e le energie spese sono esigue, se non davvero inconsistenti.
Può bastare "connettersi in rete"?
Può bastare far parte del grande mondo dei social network per fronteggiare questioni di vita emotiva, come per esempio le separazioni?
A volte insieme a qualche buona amica, a qualche sfogo in rete, della serie "mal comune mezzo gaudio", potrebbe anche funzionare come scarica, se volgiamo lo sguardo a questo mondo "tecnologico" con un cipiglio positivo, risultante dello stare al passo coi tempi e del progresso.
Pene d'amore, delusioni, sconfitte, insuccessi, sono tutti affanni che accompagnano l'uomo, che riguardano in termini psicologici la sua vita emotiva. Ma se l'amica non c'è, se si ha litigato con il ragazzo, se il figlio si isola dai genitori e se l'altro su internet è inesistente, perché può essere solo illusione virtuale.
Se non c'è tempo e nessuno, quando si è colti da un dolore forte, come si fa? Che succede? Chi può soccorrere la mente di una persona affranta da una perdita, soprattutto quando non si è più giovani? In certi momenti della vita si può instaurare un disagio e una sofferenza, un senso di insicurezza e di solitudine, uno stato angoscioso, in cui è più faticoso affrontarlo.
La cosiddetta terza età è un momento critico.
La psicoterapia può aiutare, dare sollievo e promuovere una integrazione interna. Quando in questo periodo della vita si subisce una grave perdita, come quella di una persona cara, allora la psicoterapia può "offrire una spalla sui cui appoggiarsi", fintanto che non si riprendono le forze, ma contemporaneamente è in grado di focalizzare le difese che la persona sta usando come reazioni. Parlo sempre da un punto di vista psicoanalitico e non psichiatrico, né di classificazione né di diagnosi, ma in termini di conflitti, di difesa e di energie psichiche.
Nello scritto "Lutto e melanconia", Sigmund Freud descrive la differenza tra lutto e depressione e sostiene che, sia nel lutto sia nella depressione, le persone reprimono la rabbia e la nascondono a livello inconscio.
Durante queste condizioni emotive di "lutto complicato", anche in relazione all'età in cui si presentano, elaborare le difese che si dispiegano automaticamente è un compito del trattamento della psicoterapia psicoanalitica. Mai come in questo momento bisogna regalarsi, concedersi un po' di tempo per "connettersi" con se stessi.
Il prezzo che si rischia di pagare, rispetto al proprio stato emotivo, in termini economici è ininfluente, ma ci si guadagna in modo decuplicato in termini di benessere psichico. Come dicevo in certi momenti della vita, l'età può essere una complicanza per la terapia, ma studi e ricerche psicoanalitiche si stanno interessando a questa particolare età dell'uomo più ricca di esperienza e più difficile da elaborare, come la vecchiaia, e anche in questa fase la terapia è utile nel ricompattare alcune funzioni cognitive e affettive. Ancor di più se accadimenti accidentali, quali malattie o perdita di persone care colpiscono l'individuo in una età matura.
Le separazioni come dicevo sono tappe che costituiscono il ciclo della vita, il superamento delle quali può condurre a uno sviluppo normale o a essere insicuri e isolati.
Ogni separazione può causare disagio e sofferenza all'individuo, ma al tempo stesso può rappresentare una opportunità di crescita. È difficile predire come reagirà una persona a una perdita di un parente o di un amico intimo. La varietà del comportamento umano è davvero incredibile!
Si può provare un senso di perdita anche se si perde potere, autostima, ricchezza o qualsiasi altra cosa che per noi possa avere valore.
A volte perdite che sembrano insignificanti sono per noi importanti: questo dipende da quanto avevamo investito emotivamente e dal valore che avevamo dato all'oggetto perso: ci sono persone che si disperano per mesi dalla perdita di un animale o di un gioiello non caro ma di grande valore affettivo. Altre volte ci deprimiamo perché non abbiamo ottenuto un aumento di stipendio o perché non ci vengono riconosciuti risultati anche minimi sul lavoro.
In tutte queste situazioni ci si può deprimere.
Una piccola perdita può causare una lieve irritazione, una depressione non grave ed essere superata senza che sia necessario utilizzare meccanismi di difesa. Ad esempio chi perde un lavoro a cui non tiene particolarmente può razionalizzare la perdita dicendo a se stesso che, in fondo, non era interessato a quel lavoro e che ne esistono altri più interessanti, meglio retribuiti o di maggiore prestigio; altre persone reagiscono con rabbia, ad esempio insultando il proprio capo: la rabbia può aiutarle a superare la perdita specie se poi ottengono un lavoro più soddisfacente.
Ma ritorniamo alla condizione di "lutto".
Il lutto. L'espressione, diventata classica, di "lavoro del lutto" è introdotta da Freud nello scritto del 1915 "Lutto e melanconia" ("Trauer und Melancholie"). Tradizionalmente, cioè prima dell'avvento e del rinnovamento apportato dalla psicoanalisi nel campo dei fenomeni psichici, a partire dalla psichiatria fino alla psicologia, il lutto era considerato solo una attenuazione graduale del dolore suscitato dalla morte di una persona amata.
Per Freud invece, è la conclusione di un processo interiore che coinvolge l'Io del soggetto e che può anche concludersi con l'insuccesso, come mostra l'osservazione clinica dei lutti patologici.
Secondo Laplanche e Pontalis il lavoro del lutto è «un processo intrapsichico, susseguente alla perdita di un oggetto amato, e con cui il soggetto riesce gradualmente a distaccarsi da esso».
Tale nozione va accostata a quella più in generale di "elaborazione psichica", concepita come necessità per l'apparato psichico di legare le impressioni traumatizzanti.
Cosa succede alla persona colpita da una perdita di una certa entità?
Quale lavoro la persona dovrà - come dire - decidere di intraprendere internamente per superare l'afflizione?
C'è una mancanza di interesse per il mondo esterno, apatia, rallentamento delle abituali attività quotidiane, un abbassamento dell'umore, un certo ritiro dagli altri. Uno sbiadimento in generale verso il mondo circostante.
In questi momenti della vita psichica l'individuo è in una situazione di dolore, ma vi è anche un accrescimento della sua sensibilità interiore.
Vorrei ricordare che il linguaggio poetico e artistico attinge da questi "momenti drammatici e intimi" in cui il poeta, calatosi nelle profondità dell'animo umano, riesce ad emergerne con una ricchezza tale da "illuminare" la collettività, restituendone attraverso l'opera creativa o artistica il senso e la vita. Così il poeta racconta:
«Sempre caro mi fu quest'ermo colle
e questa siepe che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno
e le morte stagioni e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar me dolce in questo mare».
("Infinito", Giacomo Leopardi)
Alla perdita dell'oggetto amato, tutta l'energia sembra monopolizzata dal suo dolore e dai suoi ricordi finché... «l'io, costretto, per così dire, a decidere se vuol condividere quel destino (dell'oggetto perduto), pensa ai soddisfacimenti narcisistici che offre ancora la vita e si risolve a troncare il suo legame con l'oggetto scomparso».
Ma «affinché si compia questo distacco e siano consentiti finalmente dei nuovi investimenti, è necessario un lavoro psichico: ciascuno dei ricordi, ciascuna delle attese con cui la libido era legata all'oggetto sono rievocati e superinvestiti, e su ciascuno si compie il distacco della libido»1.
In questo senso si è potuto dire che il lavoro del lutto consiste nell'uccidere la morte2. Il mondo dell'arte, della poesia, della cinematografia, della letteratura, si è interessato a questo delicato momento della vita dell'uomo, inneggiando al suo superamento. Le ceneri della persona amata vengono lasciate andare in paesaggi incantati, si getta dal cielo la medaglietta dell'amico amato, ecc.3 sono tutti atti di distacco in cui il lavoro del lutto ha avuto un esito positivo.
Nel lavoro terapeutico a volte possiamo incontrare situazioni in cui simili afflizioni dell'animo umano risultano più complicate.
Una complicanza può essere costituita dal fattore età.
Si suole dire che gli anziani che perdono il compagno di una vita esprimono raramente la propria rabbia e rimangono più a lungo e più tempo "depressi" per l'avanzare di un certo deterioramento organico.
Fermo restando che ogni individuo ha una sua reazione, anche in questo caso la psicoterapia psicoanalitica dà sollievo alla persona "in crisi" per aver perso qualcuno a cui si appoggiava.
Ritornando a Freud e allo scritto del 1915, la differenza tra un lutto normale e uno patologico risiede nel conflitto a opera dell'ambivalenza che può essere costituzionale, ma che può svilupparsi in situazioni di perdita.
È in questo ampio discorso che introduco e colloco la storia della Signora Beta. Una signora di 63 anni, che venne da me in seguito a disturbi del sonno. Non riusciva a dormire più da sola la notte, soprattutto dopo la morte del marito, avvenuta per una serie di vicissitudini, in seguito a negligenza della struttura ospedaliera e medica in cui era ricoverato.
Incominciava ad accusare dei "sensi di colpa", a sentirsi dominata e influenzata dal defunto a esercitare una critica su se stessa.
Aveva una figlia con la quale aveva un rapporto difficoltoso, per cui nutriva inconsciamente un forte sentimento affettuoso.
La signora era dotata nonostante la sua età di spigliatezza, spirito di intraprendenza e, nonostante fosse agnostica, di un grande sentimento di solidarietà e di fiducia verso l'uomo. Era stata insegnante e, dopo il pensionamento, si era dedicata ad attività di volontariato e coltivava interessi in campi culturali. Era anche una tesserata e militante di un noto partito di sinistra. Aveva una buona rete sociale.
In seguito ai disturbi del sonno e insieme a un suo senso di indipendenza (non voleva essere di peso alla figlia) venne da me. In questo particolare decorso della vita della signora Beta, i suoi aspetti vitali si erano notevolmente indeboliti, pur dotata di una sua forte inclinazione alla vita. Riporto una sequenza in cui è in corso il lavoro del lutto e si evince il conflitto colorato della ambivalenza (una lieve depressione).
La terapia è in un momento avanzato (3 anni) in cui si è instaurata una buona relazione analitica, per costanza, fiducia e continuità. La paziente sta vivendo, e fa vivere a me attraverso le sedute, dei turbamenti in cui si drammatizza la relazione con i suoi oggetti interni: a momenti è con un superio cattivo, "nazista" (come lo chiama lei), in cui me lo mostra attraverso dei racconti violenti e ripetitivi, ripresi dai fatti concreti di cronaca (la storia della signora Franzoni, elenchi di stragi), in cui si avverte questo risucchio massiccio.
A momenti si alternano stati di sofferenza e di disperazione, attraverso argomenti riguardanti la fame dei bambini africani, l'indigenza.
È un andamento penosamente ricorrente.
In certi momenti la sua capacità di rilassarsi e di lasciarsi andare è disturbata da un "amor proprio" che ostacola il processo della cura, in questi momenti la sofferenza per la perdita della persona amata, cioè il marito, è sentita internamente come un'aggressione, in cui lei si sente l'abbandonata. In un particolare momento della terapia, compare una fantasia in cui la paziente supera un senso di vergogna e la paura di sentirsi "senza senso".
Si apre, si confida e dà voce al seguente pensiero "di mangiare, di incorporare le ceneri del marito" (il compagno nella vita ha ricevuto un funerale laico). Insieme a lei, esplorando questa fantasia, compare il desiderio di avere dentro di lei l'amato marito. La signora Beta, così incomincia a uscire dalla sua ambivalenza, e a nutrire un rimpianto e un desiderio di avere il suo compagno e poter esternare il suo affetto poco comunicato in vita. Insieme a questi momenti la signora è in grado di ricordare momenti affettuosi e di vita familiare con il compagno e la figlia.
La signora Beta recupera le sue energie, grazie alla sua capacità di "farsi aiutare" in un modo poco convenzionale, nonostante la sua età non più giovane. Man mano si ricompattano valenze affettive che erano state messe da parte e rischiavano di essere dimenticate.
Compare un sentimento di tristezza, ma sostenibile. Il rapporto con la figlia migliora e si concedono anche un viaggio all'estero insieme.