Articolo pubblicato il 25 Giugno 2015.
L'articolo "Spunti di riflessione per genitori di adolescenti" tratta di: Adolescenza.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Marcella Dittrich.
Spesso ricevo telefonate da parte di genitori preoccupati che hanno figli adolescenti, confusi perché faticano a capire il figlio, che viene descritto come ormai "fuori controllo".
La confusione deriva dal fatto che non riconoscono più nel proprio figlio il bambino di un tempo a cui erano affezionati, ma è molto meno chiaro chi sia il nuovo "interlocutore" che prende forma al suo posto e, soprattutto, quale sia il modo migliore di comportarsi con lui.
Ci si sente come degli elefanti in un negozio di cristallo: come ci si muove si rischia di far danno e ci si sente inadatti alla situazione.
Quando si vede il ragazzo/a in difficoltà lo si vorrebbe aiutare, dare suggerimenti utili, proteggerlo da possibili errori o "dolori" ricorrendo alla propria esperienza, ma per motivi non chiari sembra che ogni tentativo sia destinato a fallire.
Si finisce per sentirsi impotenti e dispiaciuti, a volte anche arrabbiati.
La rabbia può essere anche conseguente alla delusione che i genitori provano, perché le aspettative che avevano sul proprio figlio erano altre.
Le relazioni in famiglia si irrigidiscono e diventano fonte di continui fraintendimenti, portano nel tempo a un arroccamento delle posizioni e talvolta anche a un isolamento reciproco: i genitori da una parte (spesso uno più dell'altro) e il figlio dall'altra.
La situazione a volte peggiora ulteriormente quando gli "adulti" - scoraggiati - è come se gettassero la spugna, disinvestendo affettivamente e lasciando che le distanze aumentino sempre più.
È il modo in cui si è stati genitori fino a quel momento che è messo profondamente in crisi, ma non è altrettanto chiara quale sarà la direzione del cambiamento. Spesso questa fase corrisponde alla transizione a un periodo diverso della propria vita, la cosiddetta mezza età, che può portare altre incertezze questa volta sul piano della identità personale.
La confusione può allora riguardare sia il figlio che i genitori: il giovane non sopporta di sentirsi trattato come un bambino dipendente quando sta acquistando un'identità più adulta; salvo poi in alcuni momenti sentire il bisogno di tornare a "fare il piccolo", alla ricerca di rifugio e conforto da mamma e papà.
Al genitore può capitare invece di oscillare da posizioni rigide e autoritarie, a una relazione più amicale, da "coetanei"; sforzandosi di fare l'amico del figlio e di annullare ogni distanza legata alla differenza di generazione e di ruolo.
Le tensioni e lo scacco comunicativo che una situazione di questo tipo può provocare non vanno sottovalutate, perché sono un "costo" emotivo importante, sebbene non visibile, per riuscire a stare nella contraddizione.
Un caso frequente è quando ci sono difficoltà scolastiche, apparentemente incomprensibili, dal momento che è chiaro ad esempio che il ragazzo avrebbe le risorse cognitive necessarie per rendere adeguatamente a scuola.
Se si analizza la situazione si scopre che ciò che ostacola l'apprendimento non è il quoziente intellettivo o la motivazione, ma è una condizione di mancanza di "libertà" interiore.
Non solo, ma a volte tutti i conflitti sembrano focalizzati sulla scuola al punto che essa diventa una vera e propria "fobia": tutto sembra ruotare intorno a quella situazione, tanto che a volte diventa un problema per il ragazzo anche solo recarcisi.
Si parla appunto di "fobia scolastica".
Questa situazione può nascondere altre tensioni che solitamente ci sono in famiglia, ma che restano poco esplicitate, poco chiare.
Ad esempio così è stato per Irma, quindicenne all'epoca della consultazione, che veniva aiutata dal papà a studiare quotidianamente, perché aveva un problema di dislessia fin da quando era piccola.
Il padre ci teneva moltissimo al suo andamento scolastico e controllava giornalmente i voti attraverso il registro online ed era spesso a colloquio con i genitori. La ragazza non riusciva a ritagliarsi uno spazio personale per gestire tempi o modi di studio perché il padre riteneva necessario assisterla continuamente, cosa che faceva con grande abnegazione e di cui lei gli era grata. Tuttavia il loro rapporto era molto influenzato dal rendimento scolastico e dalle tensioni relative. Irma si sforzava di nascondere anche a sé stessa la rabbia che tutto ciò le provocava.
Il campanello d'allarme erano i sintomi che si manifestavano sotto forma di depressione: usciva pochissimo di casa, non riusciva a investire sull'esplorazione del mondo né sulla socialità.
Era bloccata da un notevole malessere, in una condizione di dipendenza, come di una "bambina" piccola pur non essendolo più.
Due sono i passaggi essenziali che un adolescente deve affrontare per crescere: la separazione graduale dalla famiglia e la individuazione di ciò che è. Perché ciò avvenga è necessario un grado di libertà sufficiente e un periodo di tempo lungo, che richiede di transitare dall'incertezza, dove è più chiaro ciò che si lascia e meno chi si diventa.
È un po' come affrontare un lutto: si abbandona il bambino che si è stati, quella relazione "sicura" del passato con mamma e papà in cui si è cresciuti, non avendo ancora chiara la meta finale.
Il gruppo dei pari assume un'importanza centrale perché gli altri consentono un rispecchiamento di sé e si impara a stare in relazione.
Gli adulti possono fare molto per sostenere questo processo: restare disponibili a essere un sostegno e dei confidenti quando viene loro richiesto; tollerare anche la presa di distanza e i "segreti", che esprimono la necessità di tenere per sé una parte del proprio mondo interno e delle esperienze personali, iniziando a mettersi alla prova da soli.
Lo "sbaglio" è una tappa necessaria di questo processo perché da esso si "impara" ad apprendere.
La fiducia nelle potenzialità del proprio figlio è un ingrediente preziosissimo assai contagioso: il giudizio di mamma e papà, per quanto possa essere svalutato a parole, in realtà è sempre molto importante per i ragazzi.