Articolo pubblicato il 24 Luglio 2017.
L'articolo "L'alimentazione nei primi anni di vita" tratta di: Educazione dei Figli.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Morena Romano.
Sin dalla nascita il momento del pasto per il bambino e la sua famiglia è impregnato di valenze psicologiche, relazionali e affettive: dall'allattamento (che sia al seno o con biberon) allo svezzamento fino all'alimentazione con cibi solidi, in questo spazio-tempo relazionale si gioca la buona riuscita del legame affettivo e di attaccamento, oltre a porsi le basi per il successivo rapporto con il cibo.
Affinché si sviluppi una corretta condotta alimentare – di fondamentale importanza per ottenere una crescita armonica - è necessario prendere in considerazione le varie fasi della vita del piccolo, contraddistinte da bisogni e competenze comportamentali e fisiologiche in evoluzione. Il bambino/a è, infatti, un individuo in-divenire e il suo sviluppo varia gradualmente, fortemente connesso al sostegno dell'ambiente in cui vive.
L'allattamento rappresenta il primo contatto nutritivo al di fuori del grembo materno e veicolo delle maggiori preoccupazioni materne sulla salute e la crescita del bimbo/a. Tali preoccupazioni possono trasformarsi in veri e propri "fantasmi" che turbano la quiete della diade madre-bambino, interrompendone la naturale sintonia. Così come per lo svezzamento e l'introduzione graduale di cibi solidi, si ritiene fondamentale che l'adulto affronti le proprie paure e preoccupazioni che molto spesso, se rese consapevoli, possono dimostrarsi non realistiche e connesse ad eventi o vissuti personali che nulla hanno a che fare con il piccolo/a.
Verso i nove-dieci mesi il bambino inizia a manifestare interesse non solo per il cibo, ma anche per gli utensili legati al pasto come ad esempio il cucchiaio con cui lo si imbocca e può succedere che rifiuti di essere imboccato volendo farlo da solo: non è ancora in grado, ma la sua spinta ad essere autonomo va sostenuta, offrendo per esempio a lui un cucchiaino con cui provare a mangiare, accompagnando con parole incoraggianti i suoi tentativi. È necessario mostrare pazienza e acquisire la consapevolezza che solo permettendo al bambino di crescere anche a tavola il suo rapporto con il cibo sarà sano, altrimenti, se preoccupati solo di nutrirlo, si rischia di finire per trattarlo come un recipiente da riempire. Al fine di agevolare la conquista delle abilità di coordinazione necessarie a portare il cucchiaio alla bocca, nei momenti di gioco gli si possono dare cucchiai e ciotole con cui esercitarsi e sperimentare nel cosiddetto gioco simbolico.
All'età di un anno il bambino ha maturato e continua a sviluppare una serie di competenze e capacità: riesce a masticare e digerire alimenti di consistenza diversa, a star seduto nel seggiolone correttamente, ad interagire con chi gli propone il cibo. Il primo incontro con cibi solidi rappresenta per il piccolo una grande novità e può non piacergli, abituato a cibi liquidi come il latte; è questo un momento molto delicato e l'adulto deve avere fiducia nel fatto che il bambino possa farcela, proponendogli di assaggiare il nuovo cibo, accettando gli eventuali primi rifiuti e non forzandolo. L'adulto deve ricordare che il passaggio dal latte al cibo solido significa emotivamente riconoscere che il bambino sta crescendo e nella sua crescita va sostenuto, senza manifestare particolari preoccupazioni o titubanze.
È bene tenere presente anche che il bambino piccolo fa le prime esperienze attraverso il tatto: tocca, manipola, afferra e poiché l'apprendimento avviene tramite l'esperienza è importante che essa avvenga anche nel contesto dell'alimentazione. È pertanto fondamentale che il bambino/a abbia la possibilità di toccare e manipolare la pappa con le sue mani, così inizierà a familiarizzare con il cibo e sarà più propenso ad assaggiarlo. Gli adulti devono avere pazienza e comprendere che attraverso questo toccare il bambino si conferma sempre più come protagonista della propria crescita.
Alla fine del primo anno di vita il bambino/a è in grado di assaggiare molti dei cibi consumati dai genitori, assumendo il modello alimentare della famiglia, mentre dai due ai tre anni è in grado di mangiare da solo ed anzi è preferibile che non sia più imboccato. Dal punto di vista nutrizionale è possibile osservare un'inclusione progressiva nella dieta di tutti gli alimenti, nonché la loro completa assunzione nella forma solida. Il piccolo, inoltre, gradualmente si adatta alla frequenza dei pasti di un adulto: la giornata alimentare è a questo punto scansionata in 4 o 5 momenti. Il bambino assimila anche un ritmo regolare dei pasti ed ha capacità maggiori di autoregolazione per quanto riguarda grado di sazietà e di fame.
Da un punto di vista psicologico è importante che il cibo non sia associato a nient'altro se non alla fame, per evitare che si sviluppi un'associazione anomala con esso: ad esempio il cibo utilizzato per allentare la tensione, per consolazione o altro. Inoltre il cibo può essere "strumentalizzato" come oggetto di scambio relazionale: alcuni bambini, per esempio, rifiutano il cibo non perché non hanno appetito, ma come tentativo di " svincolo" dalla figura parentale, dunque in realtà stanno "lottando" per riuscire ad autogestirsi ed il cibo rappresenta rifiuto ed ostilità nei confronti di genitori invasivi ed iperprotettivi, che non concedono loro autonomia ed indipendenza; altri bambini possono manifestare opposizione al momento del pasto come ricerca di attenzione da parte dell'adulto, etc. La manifestazione di disagio e comportamenti oppositivi durante il momento del pasto e/o un cattivo rapporto con il cibo potrebbero rappresentare "un campanello d'allarme" da ascoltare, un segnale che il bambino/a manda al mondo esterno: sta cercando di dirci qualcosa a modo suo, qualcosa che spesso non riguarda solo la sfera alimentare ma soprattutto quella emotivo-relazionale.
È bene, quindi, evitare di dare al pasto un'enfasi eccessiva, drammatizzando i rifiuti, imponendo ai bambini l'assunzione di alimenti non graditi, costringendoli a pasti interminabili. Altresì è bene evitare che loro tiranneggino gli adulti catturando tutta l'attenzione e sollecitudine durante il pasto, facendosi per esempio preparare cibi diversi come conseguenza di ogni rifiuto. Anche durante i pasti sono necessari regole e limiti chiari e ben definiti e coerenza tra i diversi membri della famiglia. Le regole segnano i confini dell'Io nascente del bambino e sono rassicuranti, indice che c'è qualcuno che si cura del piccolo/a e si assume la responsabilità di fare da guida. Sarà quindi possibile chiedere ad esempio al bambino cosa preferisce mangiare ma scegliendo fra possibilità limitate (due o tre al massimo), stabilire che una volta cucinato quel piatto non è possibile cambiare idea e cucinarne un secondo, etc.
Sono invece sconsigliabili i "ricatti emotivi" utilizzati troppo spesso dai genitori, i quali rischiano di "snaturare il momento del cibo", non considerando il cibo per quello che è, ma trasformandolo in un premio (se mangi ti compro un regalo) o in una punizione (se non mangi non ti porto al parco). In questo caso il bambino imparerà che può "utilizzare" il cibo per ottenere qualcosa che desidera o evitare qualcosa che vuole evitare. Se il bimbo rifiuta il cibo è bene evitare di insistere: è noto che l'insistenza genera sempre una resistenza, un po' come quando ci si impone di dormire ed è proprio il momento in cui il sonno si allontana. Se il bambino/a non mangia insistere non serve a nulla, anzi, il cibo può diventare "un'arma" nelle sue mani per tenere in scacco i genitori ed ottenere ancora una volta ciò che gli preme o evitare certe situazioni. Ma ricordate che questo, a lungo andare, non lo aiuterà, anzi lo farà diventare sempre più riluttante e insofferente alle inevitabili frustrazioni che incontrerà durante il suo cammino.
È meglio non manifestare eccessiva preoccupazione, ma serenità e atteggiamento accogliente. Se questo atteggiamento si manifesta durante lo svezzamento è possibile che il bambino/a stia dicendo di no a qualcosa che gli viene da fuori di non conosciuto e che teme. Prima, infatti, l'allattamento rappresentava la coccola con la mamma, un contatto intimo e privilegiato.
Pertanto, da un lato è necessario aiutare il bimbo/a ad accettare ciò che è nuovo, mentre dall'altro favorire nelle figure genitoriali, in particolar modo nella madre, l'accettazione del cambiamento e della crescita, del passaggio dal momento intimo dell'allattamento ad un rapporto diverso ma sempre contraddistinto da scambio affettivo e relazione.
Se il bimbo/a invece tende a mangiare troppo può essere utile spostare l'attenzione su qualcos'altro come qualcosa di piacevole. Infatti se il bambino chiede sempre qualcosa in più probabilmente sta considerando il cibo una consolazione o un diversivo: non ha fame, ma chiede cibo per colmare una "mancanza". È utile, quindi, traslare la domanda e spostare la sua attenzione in attività che gli interessano e in passioni, facendo sentire la propria presenza e attenzione.
Per rendere più piacevole il momento del pasto è utile, inoltre, farsi aiutare dai bambini, coinvolgendoli per esempio nel preparare la tavola o i cibi stessi e, soprattutto, ricordando che il momento del pasto non è solo un'occasione di nutrimento fisico ma anche di condivisione, relazione, interazione e scambio, pertanto deve essere preservata la convivialità della tavola.
È consigliabile in ogni caso chiedere un parere al proprio pediatra, che analizzando peso e crescita saprà valutare se il bimbo/a sta crescendo bene nonostante il suo modo anomalo di mangiare e se, quindi, le preoccupazioni sono valide oppure eccessive. La visita pediatrica è fondamentale anche per capire se ci sono cause metaboliche, organiche o magari psicologiche.
Infine il comportamento alimentare, come ogni altro comportamento, si apprende e il bambino/a impara a mangiare guardando gli adulti, che rappresentano i suoi punti di riferimento. Pertanto è importante che siano gli adulti a promuovere una corretta e sana alimentazione e un clima disteso e sereno durante il pasto. Ciò significa che non si può pretendere che il bambino/a mangi le verdure se gli adulti non ne mangiano o che i bimbi/e stiano seduti a tavola tranquilli quando gli adulti si alzano continuamente o non mangiano insieme.