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Articolo di psicologia: «Psicoanalisi - Sigmund Freud e attacchi di panico»

La nostra è l'epoca del panico

Articolo pubblicato il 15 Febbraio 2018.
L'articolo "La nostra è l'epoca del panico" tratta di: Attacchi di Panico e Psicoanalisi (Sigmund Freud).
Articolo scritto dal Dott. Roberto Pozzetti.

I sintomi nevrotici

La cura psicoanalitica è sempre stata una cura volta al trattamento dei sintomi, a cominciare dai sintomi isterici che, alla fine dell'Ottocento, proliferavano. Sono i sintomi a motivare la domanda di aiuto e spesso anche a spingere verso un prosieguo del percorso analitico.

Freud e i primi analisti si occupavano di pazienti, spesso giovani donne, con sintomi di conversione corporea.
Allora un conflitto psichico, relativo alla sessualità, veniva rimosso e diveniva inconscio; al suo posto si presentava un sintomo corporeo. Questa forma del sintomo, di conversione dallo psichico al corporeo, si manifestava con paralisi e cecità isteriche: dunque, la cecità stava a raffigurare il non volere vedere qualcosa; il blocco di un arto rappresentava il compromesso fra il compiere oppure no un certo atto.
Alla base di queste problematiche vi era un rimuovere il discorso sulla sessualità che riaffiorava attraverso un corpo che parlava, dicendo ciò che era socialmente proibito.

Le nuove forme del sintomo

Con i cambiamenti sociali ai quali la psicoanalisi stessa ha contribuito, la cui punta è stata la rivoluzione culturale e sessuale del Sessantotto, abbiamo incontrato nuovi sintomi. Si tratta di sintomi basati più che sulle interdizioni erotiche, sulla rivendicazione della libertà di accedere al godimento. La dipendenza dalle droghe, negli Ottanta e Novanta, ne era la forma più drammatica e inquietante.

Si sono così strutturate nuove identità, in un'epoca di evaporazione delle tradizioni religiose e politiche. Diversi individui hanno cominciato a etichettarsi, anziché in riferimento alla fede religiosa, al ceto sociale o all'ideale politico, sulla scorta di un'identità fornita da specifiche pratiche di godimento: "Sono un tossicodipendente!", "Sono una bulimica!", "Sono un'anoressica!".
In questo modo si iscrivevano in una comunità di persone tutte contraddistinte dalla medesima e rigida modalità di soddisfacimento. Tutto ciò differenziava le nuove forme sintomatiche dal sintomo di conversione che è, invece, singolare, metaforico e iscritto nella storia della propria famiglia e della propria vita.

Deterritorializzazione e crisi di panico

Oggi vi è un passaggio da modalità di produzione economica di stampo territoriale, basate sul lavoro contadino nei campi e operaio nelle fabbriche, a una produzione più evanescente e deterritorializzata che trova nelle delocalizzazioni delle aziende in altre nazioni e negli impieghi online delle espressioni eclatanti. Si tratta di attività professionali svolte spesso davanti a uno schermo, persino dal proprio domicilio.

Alcuni decenni or sono, si iniziava a lavorare in forma retribuita in una ditta, sin da ragazzi. Si restava sovente in quel contesto tutta la vita. Il luogo di lavoro diveniva una sorta di seconda famiglia.
Ci si trovava talora a recarsi ogni giorno in azienda con il ritorcersi dello stomaco oppure a concludere la giornata con l'emicrania; tuttavia, pur esprimendo così un disagio sintomatico, il lavoratore aveva un'occupazione fissa e la sicurezza di un luogo di lavoro stabile.

Come cambia la cura psicoanalitica nella nostra epoca?
Notiamo che il sintomo, specifico di una società solida, viene rimpiazzato dalle crisi di panico, così comuni al tempo di Internet, nel mondo dei legami liquidi.
La liquidità degli attacchi di panico si ritrova in due aspetti: il primo è la tenue identità che essi offrono al cospetto di quelle maggiormente stantie proprie delle dipendenze anni Ottanta; l'altro è la rapidità di un'evoluzione clinica favorevole. I soggetti che affrontano l'esperienza, persino drammatica, della crisi di panico raramente ne fanno un vessillo con cui identificarsi, uno stendardo da sbandierare: rimanendo una dimensione molto più fluida e persino liquida. D'altro canto, la prognosi si rivela sovente positiva in quanto, anche in pochi mesi, il panico accenna a evolversi verso un'attenuazione. Le crisi di panico lasciano tuttavia non sporadici strascichi relativi al timore di vivere ancora l'esperienza del panico, lasciando affiorare la paura della paura, il panico del panico1.
È su quest'ultima manifestazione che focalizziamo la nostra pratica psicoanalitica.

Note
  1. Per una trattazione più completa della cura delle crisi di panico, rinvio ai miei libri Senza confini. Considerazioni psicoanalitiche sulle crisi di panico, Franco Angeli, Milano, 2007 e Tessere la cura. Elementi per la pratica della psicoanalisi, Franco Angeli, Milano, 2018.

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