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Articolo di psicologia: «DAP: Attacchi di panico»

Il Disturbo da Attacchi di Panico

Articolo pubblicato il 27 Novembre 2008.
L'articolo "Il Disturbo da Attacchi di Panico" tratta di: Disturbi d'Ansia, Attacchi di Panico e Terapia Cognitivo Comportamentale.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Sonia Dal Ben.

Il Disturbo da Attacchi di Panico (DAP), è un problema che affligge il 3% della popolazione, quindi una percentuale molto alta, e si stima inoltre che tutti nella vita, almeno una volta abbiam provato una sensazione di panico.
Il panico non è altro che una manifestazione molto intensa dell'ansia, su una scala da 0 a 10, ove 0 è il rilassamento completo e 10 è il panico, ovvero una paura intensissima.

L'ansia è una delle emozioni fondamentali dell'uomo, insieme alla tristezza, alla rabbia, alla gioia e al disgusto.
L'ansia è un segnale d'allarme, che deriva dalla percezione di un pericolo, reale o irrazionale che sia, in seguito al quale la nostra mente ci avverte che dobbiamo fare qualcosa per allontanarci il più rapidamente possibile dalla fonte del pericolo, ripeto, reale o irrazionale che sia. Per esempio: immaginate di uscire dalla porta di casa e trovarvi di fronte un leone, ovviamente vi spaventerete e molto probabilmente entrerete nel panico.

Il vostro cuore inizierà a battere più velocemente, il vostro respiro si farà più frequente e superficiale, inizierete a sentire caldo, a sudare e tremare, può essere che ve la facciate addosso anche.
Tutte queste sensazioni non sono altro che risposte fisiologiche appropriate che il vostro corpo, di fronte ad un pericolo, mette in atto, allo scopo di farvi scappare il più velocemente possibile dalla fonte del pericolo stesso.

Ma per scappare il più velocemente possibile, il corpo ha bisogno di avere le risorse per farlo, ovvero:

  • deve avere una pressione sanguigna aumentata, allo scopo di portare più sangue ai muscoli periferici degli arti, che mi permettano di correre più velocemente;
  • il respiro diventa corto e affannoso (iperventilazione) con lo scopo di incrementare la quantità di ossigeno nel sangue, per dare più forza ai muscoli e rendere l'attenzione più vigile e selettiva (se il leone si muove lo osservo più nitidamente);
  • aumenta la sudorazione, il metabolismo accelera perché devo bruciare di più per avere più energia per scappare.

Cosa succede però se lo stimolo che mi fa allarmare, non è il leone, ma un pensiero nella mia testa (es. oddio cos'è questa strana sensazione che sento? Sto per avere un infarto? Non riuscirò più a respirare, impazzirò?). Succede che il mio corpo comunque riceve dalla mia mente un segnale di pericolo che però non è reale, non si palesa di fronte ai miei occhi, il leone non c'è, ma io ho paura lo stesso, temo di poter star male, che nessuno mi soccorra.

Il mio corpo quindi metterà in atto sempre le stesse reazioni fisiologiche (accelerazione del battito cardiaco, respiro affannoso, sudorazione, ecc.) con lo scopo di farmi scappare il più velocemente possibile dal potenziale pericolo, anche se non lo vedo di fronte a me, ma è un mio pensiero.
Questo pensiero disfunzionale, causa degli attacchi di panico, si chiama pensiero catastrofico, ovvero la persona dà un significato catastrofico ad un suo sintomo e/o sensazione fisica (morirò, sverrò, impazzirò, ecc.), provando paura e inducendo una risposta fisiologica in linea con tale emozione. Sentirà quindi la tachicardia, il respiro affannoso, un nodo in gola, la sudorazione, magari la nausea, come se veramente ci fosse il leone pronto ad aggredirla. Questi sintomi la faranno spaventare in quanto non ne capirà l'origine ed inizierà a pensare di avere qualcosa che non và, addirittura appunto di poter avere un infarto, di morire, svenire, impazzire.
Questo pensiero non fa altro che aumentare l'ansia ed autoalimentarla.

La paura di poter impazzire è legata alla sensazione di stordimento che si ha durante l'attacco di panico. Spesso si vede annebbiato e si ha una sensazione di non realtà, di "strano", confuso.
Questa sensazione si chiama derealizzazione e non è altro che la conseguenza del maggior carico di ossigeno nel sangue dovuto all'iperventilazione messa in atto quando scatta il panico.
Questo avrebbe lo scopo di fare focalizzare meglio la fonte di pericolo, ma che se ovviamente non c'è, si perde e dà questa spiacevole sensazione di distacco e stordimento.

Una delle conseguenze del panico più frequenti è l'evitamento, cioè la persona comincia ad evitare luoghi e situazioni in cui ha avuto il panico, per la paura di star male. Così facendo ha un immediato sollievo dall'ansia, che però a lungo andare non fa altro che confermare alla persona di non essere più in grado di fare certe cose, abbassando notevolmente l'autostima ed il senso di efficacia personale, rendendola ancora più insicura e vulnerabile al panico.
Il DAP infatti insorge prevalentemente dopo un lutto, un licenziamento, una rottura affettiva, dopo un aumento di responsabilità, dopo un trasloco o comunque dopo un momento in cui la persona per qualche motivo si è sentita più debole, fragile e vulnerabile, e ora crede di essere in balia della sua ansia, non in grado di controllarla in quanto debole.

Prima si decide di curare il disturbo e meglio è, in quanto più si radica l'evitamento e gli schemi comportamentali che ci stanno dietro, e più si possono aggiungere comorbilità come la depressione o l'agorafobia, e le limitazioni alla vita quotidiana.

Attraverso la Terapia Cognitivo Comportamentale questo disturbo (se presente in maniera isolata), puo' essere risolto in 10-12 colloqui.
Lo scopo della terapia è imparare che l'ansia non è un mostro che può farci del male, ma un'emozione utile, che ci serve per difenderci dai pericoli, che si impara a gestire e controllare tramite la ristrutturazione cognitiva dei pensieri catastrofici, le esposizioni graduali allo stimolo giudicato pericoloso (ERP) ed imparando a conoscere l'ansia come emozione non dannosa, ma utile per la nostra vita e assolutamente non pericolosa.

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