Intervista pubblicata il 12 Ottobre 2012.
L'intervista "Intervista a Pellizzari: C'era una volta un paziente, un disturbo ed uno psicologo..." tratta di: Disturbi Psicologici e Tipi di terapia.
Intervista scritta dal Dott. Damiano Pellizzari.
La Redazione di PsicoCitta ha incontrato il Dottor Damiano Pellizzari, Psicologo Psicoterapeuta, che utilizza la risata, l'ironia ed il "comico" con i propri pazienti a scopo terapeutico, negli studi di Treviso, Vicenza e Padova.
1. Sappiamo che lei si distingue dal classico Psicologo.
In che modo e per quali ragioni è giunto al "suo" personale modo di fare terapia?
"C'era una volta un paziente, un disturbo ed uno psicologo".
Sono partito dall'insoddisfazione che mi dava questo modo di raccontare le "storie" o per meglio dire le vite e le difficoltà delle persone.
Mi sembrava che qualcuno dovesse pazientare su qualcosa che qualcun altro doveva fare.
Sono pertanto arrivato alla considerazione che "c'è un impaziente che domanda di stare bene ad un terapeuta". Questa mia "rivoluzione copernicana" nel modo di pensare dà all'impaziente un ruolo costruttivo e deriva dalla mia curiosità, dalla voglia di conoscere piuttosto che ri-conoscere, dal non accontentarmi di ricevere risposte confezionate, dallo sperimentare nuove ed intentate soluzioni ai problemi della vita.
2. Anche il Suo modo di presentarsi è singolare: si propone come "Arredatore di appartamenti psicologici", "Elettricista per le scosse della vita"... come "Strizzacervelli" e come Persona diversamente abile, mostrandosi con ironia in tutta la sua autenticità.
Ho usato queste parole perché sono di facile comprensione, rendono bene l'idea e possono suscitare una sensazione positiva.
Mio nonno, contadino che frequentò solo pochi giorni la prima elementare perché era più necessario pascolare le oche, diceva che bisogna "parlare in stampatello" per farsi capire da tutti. Credo che se avesse avuto la possibilità di studiare sarebbe diventato un avvocato più intransigente dell'Azzeccagarbugli di manzoniana memoria, di certo non uno psicologo.
Anche se era contemporaneo di Freud a poco gli sarebbe servita la psicoanalisi in un ambiente campagnolo! Io e mio nonno non condividiamo l'idea di Pitagora che esortava i suoi discepoli "matematici" a parlare difficile per non farsi capire dalla gente comune, gli "acusmatici" (gli ascoltatori), al fine di riservare la conoscenza a pochi eletti.
3. Crede che la personalità sia importante nel rapporto terapeutico con i pazienti?
Lei ha usato la parola "personalità" ma sinceramente io la cancellerei dal dizionario di psicologia. È una definizione troppo ampia, troppo generica e spesso fuorviante... Insomma dice tutto e dice niente.
I miei comportamenti, le mie parole, i miei gesti, i miei pensieri, le mie emozioni di certo incidono nella relazione terapeutica.
Voglio coscientemente che producano cambiamento nei miei impazienti che desiderano stare bene al più presto.
In quest'ottica la psicoterapia deve essere il più breve possibile e massimamente efficace. Come il chirurgo incide sul corpo per favorirne il processo di auto-guarigione così lo psicoterapeuta incide sui pensieri, sui comportamenti e sulle emozioni dell'impaziente per condurlo ad un maggiore benessere.
4. In che modo e a che scopo entra in gioco in terapia?
Come già si è compreso cancellerei dal vocabolario psicologico anche la parola "paziente" sostituendola con "impaziente". Un vecchio adagio recita: "Il cliente ha sempre ragione".
Ma quali sono allora le ragioni di questo benedetto "cliente-impaziente"?
La persona che decide di investire tempo e denaro si aspetta soluzioni. Come un medico o un avvocato, diversamente per esempio da un ingegnere o da un pilota di aerei, non possiamo garantire la certezza del risultato ma dobbiamo agire con il massimo della professionalità.
Penso che lo psicologo sia responsabile delle strategie terapeutiche mentre l'impaziente, nella sua libertà, è artefice e responsabile del proprio cambiamento.
Insomma, l'impaziente ha un problema da risolvere, nel consultare qualcuno che lo aiuti a farlo deve poter capire quanto gli costerà sia emotivamente che economicamente altrimenti, per evitare ciò che non può conoscere, preferirà tenersi il suo problema, che almeno conosce già a menadito.
Pertanto io come terapeuta cerco di spiegare bene come si svolge la terapia, con che frequenza, per quanto tempo verosimilmente e con quali spese, cercando di essere sensibile e flessibile alle necessità finanziarie dell'impaziente.
5. Nel suo modo di lavorare, così come nella sua vita, sono molto presenti il "gioco", il sorriso e la risata, la musica... ma le problematiche che quotidianamente affronta sono serie e spesso dolorose. Che importanza può avere lo sdrammatizzare per Lei come Terapeuta e per il Suo paziente?
Albert Einstein diceva che non si può risolvere un problema usando lo stesso pensiero che si è utilizzato per crearlo. Era un tipo che, come avrebbe detto mio nonno, «Ne sa una pagina più del libro!».
Siamo noi che ci creiamo i problemi, noi che ne rimaniamo invischiati, noi che li possiamo risolvere se proviamo a cambiare modo di pensare.
Ogni problema nasconde in sé la sua soluzione, dicono gli orientali.
Un ansioso tratta le sue ansie con pensieri ansiosi senza ridurne l'ansia, un depresso fa pensieri tristi aumentando il disagio, le difficoltà di coppia spesso si vivono con rabbia finendo per buttare benzina sul fuoco, i problemi sessuali diventano pretese e delusioni, un lutto non si risolve parlandone continuamente o piangendo all'infinito etc.
L'umorismo, l'ironia, il sorriso, se ben dosati, rappresentano una tra le tante modalità possibili di cambiare il modo di pensare e di agire. Tutto questo un po' alla volta si può apprendere per sperimentarne l'efficacia.
Ritengo che la psicologia non inventi niente di nuovo, piuttosto prende spunto da antiche discipline quali la dialettica, la filosofia, la letteratura, la musica, gli animali, la danza, lo yoga, la spiritualità, l'arte, il cinema, il teatro e la comicità per farne strumenti di cambiamento e benessere.
Sottoscrivo quello che sosteneva Galileo Galilei che non si insegna niente ad un uomo ma lo si può aiutare a scoprire ciò che ha già dentro di sé.
6. Sdrammatizzare è una capacità che si può imparare ad avere nella vita?
Come già accennato sopra direi proprio di sì.
Spesso l'approccio del sorriso viene associato all'infanzia, una modalità peculiare adatta ai bimbi, ma la mia esperienza clinica mi dice che gli adulti hanno un gran bisogno di imparare o re-imparare a ridere talora molto più dei bambini. Non voglio comunque farne una bandiera sostenendo che bisogna ridere sempre e comunque.
Ritegno piuttosto utile riscoprire e coltivare l'ilarità che è innata in noi e che spesso è soffocata da mille regole, problemi e condizionamenti sociali.
7. Lei conduce attività terapeutica da diversi anni e in diversi studi, a Padova, Treviso e Vicenza. In base alla sua esperienza e ai risultati ottenuti dai suoi pazienti, cosa potrebbe dire a coloro che ancora non trovano il coraggio o lo stimolo a intraprendere una terapia?
Un proverbio dice: «Nulla cambia se non cambi nulla».
La psicoterapia è uno dei tanti strumenti che possono procurare benessere. Se un individuo non si fida o ha paura della psicologia, cerchi comunque soluzioni che reputa utili e valide.
L'importante è non rimanere immobili ma sperimentare.
Non è detto che il primo tentativo vada a buon fine ma... "chi cerca trova!". In questa società "liquida" le offerte pro salute e benessere psicofisico sono innumerevoli, bisogna fare solo un po' di attenzione a non incappare in venditori di fumo.
8. Una persona può iniziare un percorso con lei anche attraverso Skype?
Il rapporto terapeuta-impaziente necessita della possibilità di parlarsi, ascoltarsi e vedersi. Skype esclude il toccarsi ma, fatta eccezione per una stretta di mano o una pacca sulla spalla, per il resto mi sembra non manchi niente. A onor del vero anche l'aspetto olfattivo è assente, ma confesso che talvolta se ne fa volentieri a meno, altre invece è molto piacevole.
In linea teorica Skype potrebbe essere uno strumento valido, forse non siamo ancora sufficientemente abituati ai rapporti telematici, ma credo che in prospettiva rappresenti una risorsa più che un limite.
9. Con questo canale, chi la contatta, che tipo di risultati si può aspettare?
A dire la verità non sono moltissime le persone che mi contattano attraverso questo mezzo. Lo utilizzo soprattutto con gli "impazienti" che vedo già in terapia e che temporaneamente non possono raggiungere i miei studi.
Se devo perseguire una meta l'importante è arrivarci.
Il mezzo utilizzato è un dettaglio secondo me abbastanza secondario.
Io avendo difficoltà visive non guido l'auto ma posso raggiungere le mie destinazioni attraverso altri mezzi. Pertanto il fine giustifica i mezzi...
di trasporto!
Skype è un mezzo non una meta e in quanto tale non mi sembra abbia grosse controindicazioni per raggiungere obiettivi psicoterapeutici.
Quindi per rispondere alla domanda, se una persona volesse iniziare un colloquio via Skype me lo può tranquillamente richiedere.
La Redazione
Intervista pubblicata il 12 Ottobre 2012