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Articolo di psicologia: «Attacchi di Panico, Ansia generalizzata e terapia»

Attacchi di panico e psicologia del profondo

Articolo pubblicato il 17 Giugno 2014.
L'articolo "Attacchi di panico e psicologia del profondo" tratta di: Disturbi d'Ansia, Agorafobia, Attacchi di Panico, Disturbo d'Ansia Generalizzato e Tipi di terapia.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Alessandra Aronica.

Etimologia. "Panico" è un termine di origine greca: deriva dal nome "Pan", divinità venerata dai pastori dell'antica Grecia, legata alla vita nelle caverne e nei campi, protettore della flora e del bestiame. Era rappresentato con un corpo umano coperto di peli, con la testa cornuta, le gambe di capro.

Pan incarnava la complessità degli esseri umani che racchiudono in sé, spesso in maniera conflittuale, una parte animale, una psicologica e una spirituale. Si narra che, grande amante del sesso, egli inseguiva ninfe e giovani ragazzi con uguale passione. Dio bonario e allo stesso tempo terrorizzante, talvolta compariva all'improvviso nei boschi o vicino alle sorgenti e aiutava chiunque avesse bisogno di lui. Amava talmente la calma del mezzogiorno - l'ora del massimo calore - che nessuno osava disturbarlo.

Chi ne turbava la quiete si esponeva alla sua improvvisa e rumorosa comparsa: si alzava in piedi e, invece di suonare il suo dolce flauto, emetteva degli urli terrificanti tanto da spaventare, sia pur involontariamente, i viandanti che passavano attraverso i boschi.
Le sue grida avevano come effetto quello di provocare un terrore interiore inspiegabile, profondo, improvviso, misterioso, che gli antichi chiamavano "timor panico" (terrore panico).
A lui si attribuivano i rumori misteriosi che si udivano di notte.

Nella mitologia greca il terrore panico non era considerato in termini negativi, perché serviva a tenere in contatto gli uomini con le forze vitali della natura. Nell'epoca romana Pan venne anche identificato con un demone maligno, penetrante, imprevedibile, sconvolgente, capace di irrompere, di notte, da sotto la soglia, per infilarsi nel letto di un malcapitato dormiente e procurargli un sogno inspiegabile e terrificante.

Manifestazione degli attacchi di panico

Chi ha vissuto un attacco di panico di solito descrive quell'esperienza come un breve ma intensissimo periodo di paura, in cui ha sentito di stare per morire, di aver perso il controllo, di avere un infarto o di "impazzire".
Riferisce anche di aver provato una sensazione di soffocamento e tremori in ogni parte del corpo. Capogiri, vampate, nausea e senso di estraniamento spesso complicano la situazione e, solitamente, nel momento dell'attacco si manifesta il bisogno disperato di fuggire.

Gli attacchi si manifestano in modo inaspettato, in pochi minuti raggiungono il culmine, che può durare anche una ventina di minuti, creando uno stato di intensa sofferenza.
L'attacco di panico si differenzia dalla cosiddetta ansia generalizzata perché dura poco, è molto intenso e non è continuativo. Può accadere che questi attacchi acuti e intensi di panico in seguito si ripetano frequentemente, finendo con il condizionare la vita della persona.

Agorafobia. Talvolta il panico è accompagnato dalla cosiddetta agorafobia: un insieme di paure che vengono vissute nei luoghi pubblici affollati, dove la persona teme di non potersi allontanare o di non ricevere aiuto se avesse un attacco di panico. In questo caso si può temere di andare a far spesa nei negozi, di stare in mezzo alla gente, o di viaggiare.

Molte persone affette da agorafobia con o senza attacchi di panico sono incapaci di allontanarsi dalla loro casa o lo fanno solo a prezzo di un grave disagio. La loro condizione si può aggravare nel tempo perché esse arrivano a evitare costantemente i luoghi o le situazioni in cui temono di avere un attacco. Si viene così a innescare la cosiddetta ansia anticipatoria, ovvero la continua preoccupazione di avere un attacco.

Gli attacchi di panico secondo l'ottica della psicologia del profondo

Le correnti psicologiche del profondo concordano sul fatto che il panico può essere la manifestazione di conflittualità intrapsichiche, ad esempio il desiderio e allo stesso tempo il terrore di separarsi da una persona significativa. Si è notato infatti che l'aver vissuto traumi infantili, come la morte di uno dei genitori o l'aver sofferto eccessivamente per la separazione da una persona cara, aumenti il rischio di soffrire di panico in età adulta.

Secondo Freud, il vissuto predominante negli attacchi di panico è quello dell'angoscia che proverebbe il lato cosciente di una persona nel fronteggiare le spinte della sua sfera emotiva e istintuale.
Dopo Freud la teorizzazione psicoanalitica ha spostato progressivamente il suo interesse sull'interazione tra l'individuo singolo e le persone che se ne sono prese cura quando era piccolo.

Ritengo particolarmente interessanti gli studi dello psicoanalista inglese Winnicott, che vertono sul ruolo della madre nello sviluppo psicofisico del neonato: se una madre, soprattutto durante primi anni di vita del figlio, non è stata "sufficientemente buona", come dice lui, cioè non abbastanza vicina dal punto di vista fisico e soprattutto affettivo, il bambino non potrà crescere sicuro di sé, e così non potrà diventare facilmente autonomo.

L'ansia da separazione da una persona cara o da una situazione che non è più soddisfacente, la mancanza di una fiducia di base o di una base affettiva sicura, sono concetti che ritroviamo spesso nelle storie delle persone affette da attacchi di panico.
Chi ha avuto una significativa mancanza di cure fisiche e soprattutto affettive da parte della madre o di chi ne faceva le veci, da adulto può sviluppare una scarsa fiducia nelle proprie capacità di controllare e prevedere gli eventi. Man mano possono aumentare in lui o lei il senso della propria debolezza, l'incapacità di conoscere i propri limiti personali e la consapevolezza della difficoltà ad affrontare situazioni nuove.

Per ovviare a queste insicurezze la persona tenderà a sviluppare un eccessivo e irrazionale controllo sulle proprie sensazioni fisiche, sull'ambiente, sulle emozioni e sulle relazioni.
Questo ipercontrollo si può accompagnare a pensieri e comportamenti volti a evitare le situazioni che creano ansia, indebolendo la psiche della persona, un po' come avverrebbe facendo sempre vivere un bambino in una casa perfettamente disinfettata: appena il bambino uscirà di casa si prenderà qualche malanno, perché non è mai stato esposto alla presenza di microbi.

Tutto ciò porta la persona a diventare incapace di percepire le proprie esperienze emotive e affettive.
Così chi soffre di panico tenderà in maniera non consapevole a tenere le proprie emozioni sotto controllo, e indirizzerà la propria attenzione sugli aspetti fisici delle emozioni, ad esempio battiti del cuore accelerati, mancanza d'aria, trascurando ogni implicazione affettiva e relazionale.

Come si curano gli attacchi di panico?

Il trattamento degli attacchi di panico, soprattutto se si interviene precocemente, può portare a miglioramenti significativi ed anche alla "guarigione", in seguito a un percorso psicoterapeutico del profondo associato o meno a una cura farmacologica.

Prima è bene sottoporsi a una serie di esami medici per escludere la possibilità di altre cause dei propri sintomi: un eccessivo livello dell'ormone tiroideo, la presenza di epilessia o di aritmia cardiaca possono causare sintomi simili a quelli degli attacchi di panico. Via via che la psicoterapia farà il suo effetto sarà possibile ridurre i farmaci fino a eliminarli.

Nella psicoterapia del profondo l'attenzione è volta soprattutto sulla personalità del paziente. Non si possono curare i sintomi senza tenere conto della struttura caratteriale del singolo individuo, che è unico e irripetibile.
L'attenzione del terapeuta sarà rivolta alle esperienze di vita presenti e passate del soggetto, ai suoi sentimenti, aspirazioni, timori, difficoltà e capacità, senza ignorare quindi le risorse, interne ed esterne, che ha a disposizione.

Questo tipo di psicoterapia è basato sul dialogo tra due persone, paziente e terapeuta, che hanno ruoli diversi, esperienze di vita e modi di pensare e "sentire" in parte simili e in parte differenti. È una forma di dialogo che oscilla in continuazione tra la "ritualità" (le regole della psicoterapia) e la "spontaneità" del rapporto tra due esseri umani.
Si lavorerà concordando un numero di sedute che varia da una o due alla settimana e il o i giorni in cui avverranno le sedute.

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